Benvenuti al numero 148 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto ai nuovi iscritti (non cito più i nomi perché siete in tanti). Oggi vi parlo di un libro che mi è stato regalato un anno fa, ma di cui ho rimandato la lettura forse perché il tema è scomodo soprattutto per chi come me si occupa di cibo. Il libro è Eating to extinction di Dan Saladino (ora uscito anche in Italia per Einaudi, con il titolo Mangiare fino all’estinzione). La sua tesi sta già nel titolo: se lasciamo scomparire le biodiversità spariremo anche noi. Ho sempre pensato alla biodiversità da un punto di vista culinario, pensando alle sfumature di gusto che certe specie di legume, ortaggio, frutta, carne, pesce o latticino, soprattutto se in mano a bravi chef, possono determinare. Ho sempre apprezzato quegli chef che selezionano materie prime basandosi sulla stagionalità e su quello che offre il territorio, privilegiando colture, specie e razze locali, disposti magari a pagare un premio per questo. Non avevo mai pensato, tuttavia, quanto questo fosse un contributo alla biodiversità globale anche perché questo della biodiversità globale non era un tema che avevo considerato rilevante. Saladino affronta il tema in modo che non avevo mai visto fare prima e la sua tesi è allarmante. Oggi spariscono le varietà di frumento, di orzo, di mais, di lenticchie, di maiali, di banane o di salmoni. Ma domani potremmo non avere più niente da mangiare e quindi questo potrebbe essere l’inizio della fine della nostra specie. Il cambiamento climatico ci sta dimostrando che la rivoluzione verde degli anni Settanta a favore dell’agricoltura intensiva, fondata sulla produzione di tanto cibo attraverso la selezione di poche tipologie di semi, è il problema. A sostegno della sua tesi Saladino fornisce un paio di cifre: l’umanità si è nutrita nel corso dei millenni di circa seimila specie di piante diverse, mentre ora ne consuma prevalentemente solo nove. Il 75% della nostra alimentazione deriva da riso, frumento, mais, patate, orzo, olio di palma, soia e zucchero (di canna e di barbabietola). La fornitura di sementi agli agricoltori di tutto il mondo (quasi il 60%!) è dominata da quattro multinazionali: ChemChina (che che ha acquistato Syngenta e in Italia ha quasi mezza Pirelli), Corteva (ex Dow-Dupont), Bayer (che ha acquisito Monsanto) e il consorzio francese Limagrain. Metà dei formaggi mondiali sono prodotti con batteri o enzimi provenienti da una sola azienda. Una ogni quattro birre bevute nel mondo è prodotta da un solo gruppo. Nonostante esistano circa 1.500 varietà di banane, il commercio mondiale è dominato da solo una, la Cavendish, una frutto clonato in monocultura. Si rinuncia a coltivare piante autoctone e allevare animali che per millenni hanno sfamato generazioni prima delle nostre, perché meno produttivi o perché richiedono troppi sforzi rispetto all’acquisto di prodotti pronti. Ormai compriamo gli stessi prodotti in quasi tutto il mondo. E non ci deve convincere del contrario il fatto che oggi stiamo mangiando una varietà di cibi sconosciuti ai nostri nonni. Perché la verità è che a Londra, Los Angeles e Lima beviamo la stessa birra e ci nutriamo dello stesso maiale, banana o grano. Il livello di uniformità raggiunto dalle principali coltivazioni del mondo, grano, riso e mais ha un livello mai raggiunto prima. Ci sono stati più cambiamenti nell’alimentazione negli ultimi 150 anni (sei generazioni) che nel milione di anni precedenti (circa 40.000 generazioni). Secondo Saladino se perdiamo la diversità nell’alimentazione lasciando che progressivamente molti cibi vadano verso l’estinzione non solo rischiamo di perdere le nostre tradizioni culinarie, ma anche l’abitudine e il piacere a certi sapori, profumi e consistenze che non ritorneranno più. E la riduzione delle tipologie di cibo ha tra i costi una possibile minore resistenza ai cambiamenti climatici, pestilenze e parassiti. Insomma, il sistema alimentare basato sulle monoculture è una minaccia per la salute e per il pianeta. La cosa grottesca è che la denuncia al Climate Action Summit delle Nazioni Unite del 2019 non è venuta da uno scalmanato attivista di Greenpeace (che probabilmente la pensava già così) ma da Emmanuel Faber, nientepopodimeno che l’allora amministratore delegato della Danone. Faber ha dichiarato che “il sistema alimentare creato nell’ultimo secolo è alla fine. Pensavamo che con la scienza si potesse cambiare il ciclo naturale della vita e le sue regole” e ha aggiunto “pensavamo di poterci sfamare con monoculture e basare la maggior parte dell’offerta di cibo mondiale su una manciata di piante. Ebbene questo sistema è fallito (went bankrupt le sue parole)” e usando un’espressione forte ha concluso: “Abbiamo ucciso la vita e ora dobbiamo ripristinarla.” E questo avveniva prima della crisi del Covid, prima delle tre annate più calde della storia (2020, 2021 e 2022 - a proposito, ormai ogni anno che arriva è il più caldo della storia) e prima della crisi del grano innestata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Oggi forse le parole di Faber, che nel frattempo non è più CEO della Danone, ma presidente dell’International Sustainability Standards Board, sarebbero ascoltate perfino con maggiore attenzione. Alcuni esempi: oggi il 99% delle mucche del mondo appartiene a un’unica razza: la frisona Holstein. I maiali sono tutti discendenti dal Large White, particolarmente sensibile alla peste suina. Il grano “dall’Iowa al Punjab” deriva da un solo tipo di seme, mentre il giurassico frumento Kavilca dell’Anatolia non lo coltiva più nessuno. Il caffè Arabica è sempre più minacciato dalla Roja, una malattia che fa diventare le piante color ruggine prima di stecchirle. E così via. E questo era solo l’inizio del capitolo introduttivo. Ma non vi voglio rovinare la lettura del resto.
Questo numero contiene:
La videoricetta: Mezze maniche alla carbonara
Il ristorante della settimana: Gio’s Ristorante e Terrazza, Venezia
Il vino della settimana: Cesarini Sforza: Aquila Reale
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato.
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La videoricetta: Mezze maniche alla carbonara
A pochi giorni dal Carbonara day, che ricorre il 6 aprile, ho deciso di ripresentare uno dei piatti di pasta più conosciuti – e sicuramente tra i più amati – al mondo: la pasta alla Carbonara. Avevo girato un video con mezzi di fortuna durante il lockdown usando gli spaghetti. Oggi ci riprovo usando una pasta corta, le mezze maniche, forse anche meglio. Che sia vero o no che che sia nata durante il periodo della Liberazione dal connubio tra gli ingredienti a disposizione dei soldati americani – uova, bacon e formaggio – e la fantasia di un cuoco romano, è un piatto che da allora è stato assoggettato ad una serie di varianti, che lo hanno via via perfezionato. La pasta alla Carbonara è il piatto dei dilemmi: pancetta o guanciale?, pecorino romano o parmigiano?, pasta lunga o corta?, uovo intero, solo tuorli o misto? burro sì o no?, panna sì o no? Con tutte queste variabili, è naturale che ciascuno abbia sviluppato una “sua” ricetta. E quindi anch’io ho sviluppato la mia. Attenzione però, oltre alla questione degli ingredienti, c’è anche quella del procedimento: non solo bisogna evitare il disastro di cuocere l’uovo, ma bisogna trovare il modo di valorizzare tutti gli ingredienti. Per realizzare la Carbonara perfetta, basta seguire la mia ricetta. Non ve ne pentirete. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Gio’s Ristorante e Terrazza, Venezia
Siamo a Venezia, all’interno del Hotel St. Regis (l’ex Hotel Europa Regina), a un tiro di schioppo da San Marco, sul Canal Grande. Il posto era già bello di suo, e dopo il recente rinnovamento è ancora più glamour. Se poi si riesce a mangiare a sfioro sull'acqua con una magnifica vista sulla Basilica della Salute da un lato e su Punta della Dogana dall’altro, siamo in uno dei posti più romantici del pianeta.
Lo chef di Gio’s Ristorante e Terrazza è Giuseppe Ricci, pugliese di origine, con esperienze importanti tra cui una a Londra presso il tristellato Dorchester di Alain Ducasse. La sua è una cucina basata su ingredienti e piatti tipici della laguna reinterpretati con contemporaneità. Oltre a un ampia scelta alla carta è disponibile un menù degustazione di cinque portate a 150 euro (220 con wine pairing). Ottimi la Piovra allo yakitori, pomodori, capperi e crumble di olive taggiasche e la Guancetta di vitello brasata, radicchio tardivo di Treviso e squacquerone. Servizio di livello. con un’elegantissima mise en place che include porcellane Ginori 1735 e bicchieri in vetro di Murano soffiati a mano. Da non perdere l’aperitivo al St. Regis Bar, adiacente al ristorante con giardino che dà sul Canal Grande. Consigliato soprattutto alle coppie! Gio’s Ristorante e Terrazza
Il vino della settimana: Cesarini Sforza: Aquila Reale
L’Azienda Spumantistica Cesarini Sforza fu fondata nel 1974 da un gruppo di qualificati imprenditori del settore vitivinicolo – tra cui il Conte Lamberto Cesarini Sforza, che diede il nome all’azienda – con l’obiettivo di produrre spumanti di alta qualità che sapessero affermarsi non solo tra i consumatori trentini, ma anche sulla scena nazionale. In pochi anni Cesarini Sforza ha saputo trovare una sua collocazione precisa nel mercato nazionale e internazionale degli spumanti, con prodotti di assoluto prestigio. I terreni dell’azienda sono tra 350 e 600 metri di altitudine, dove si coltivano Chardonnay e Pinot Nero. Il Cru dell’azienda è Aquila Reale, un Blanc de Blanc di cui Luca Turner in un articolo da lui scritto per la sezione vino di Passione Gourmet ci racconta di una degustazione verticale di 10 annate di Aquila Reale. Cesarini Sforza, Aquila Reale
Buona domenica!
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