Orazio Food Experience #183
Benvenuti al numero 183 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! Mi piacciono i formaggi. Sono uno di quelli che ha sofferto la scomparsa, avvenuta alla chetichella nel tempo, del carrello dei formaggi al ristorante. A proposito, per gli irriducibili consiglio Da Manuela a Capraglia sul Po, un ristorante che ha sempre, anche oggi, almeno 60 formaggi sul carrello. Certo, perché quello dei formaggi è un mondo. Il formaggio è uno dei prodotti gastronomici più ricchi di biodiversità, e, in quanto espressione del territorio e della cultura in cui viene prodotto, potrebbe essere associato al vino. Ne esistono una quantità inimmaginabile di varietà, diverse per origine, caratteristiche del latte, consistenza, invecchiamento o grado di cottura. Il post di oggi è dedicato a come si fa il formaggio e a come classificarlo. Magari in futuro proverò ad approfondirne qualche varietà. Attenzione, non esiste un unico modo per fare il formaggio. Ogni casaro ne dà una sua interpretazione, applicando o meno determinate regole per personalizzare il risultato. Esistono però delle linee guida, comuni in ogni tipo di preparazione, che possono aiutarci a comprendere meglio la natura di questo straordinario prodotto. Si parte da un latte fresco di mungitura. Il latte, a seconda del risultato che si vuole ottenere, può essere intero, scremato o parzialmente scremato. Il latte intero viene solitamente utilizzato per formaggi freschi, di giovane consumazione, mentre la scrematura dà vita a prodotti adatti alla stagionatura. Un’altra distinzione è data dalla scelta tra latte crudo o pastorizzato. Il primo, naturalmente ricco di batteri, comporta qualche rischio in più, è tipico dei formaggi artigianali e assicura le caratteristiche microbiche proprie del prodotto. Diciamolo, quelli più buoni vengono normalmente da latte crudo. La pastorizzazione, spesso attuata nei prodotti più industriali, viene utilizzata per abbattere i patogeni, rendendo il latte sicuro ma più lontano dalla sua natura. Altra distinzione riguarda il tipo di latte (vacca, bufala, capra, pecora o misto) ognuno dei quali ha gusto e un contenuto diverso di grassi, e quindi un risultato finale diverso. Ma come come si fa il formaggio? Come detto si parte da latte crudo, o pastorizzato. Nel caso di latte crudo, questo viene riscaldato fino a una trentina di gradi, mentre nel caso di formaggio pastorizzato si procede a un riscaldamento fino a 75 gradi, per eliminare i batteri. A questo punto bisogna fare fermentare il latte. E’ quindi necessaria una carica batterica: la maggior parte dei produttori utilizza l’innesto di fermenti lattici. Anche chi lavora con un latte crudo, ricco quindi di batteri, può scegliere di aggiungerne ulteriori per arricchire il prodotto. Esistono innesti naturali ed altri selezionati in laboratorio. Questi ultimi si suddividono in lattoinnesti, utilizzati per formaggi molli come lo stracchino, e sieroinnesti, per formaggi a pasta dura come il Parmigiano. Ci sono poi gli innesti fungini, composti da muffe specifiche che danno vita ai famosi blu. Dopo aver aggiunto i fermenti arriva il momento della coagulazione, il processo che porta le proteine ed i grassi ad uno stato semisolido, quasi gelatinoso. Per favorire la coagulazione originariamente l’unico elemento disponibile era il caglio animale (estratto dallo stomaco di vitelli o agnelli da latte), anche se oggi le opzioni sono varie perché esistono anche diversi tipi di caglio vegetale, derivanti da piante e verdure e adatti per formaggi che vengono graditi anche da chi fa una dieta vegetariana. Il caglio viene solitamente sciolto in poca acqua e inserito nel latte ancora caldo. Bisogna attendere un’oretta per far si che la cagliata si formi completamente. Mano a mano che la coagulazione si verifica, la cagliata tende naturalmente ad spurgare il siero, principalmente composto da acqua. Quando la cagliata è pronta, cosa che avviene quando si forma uno strato di siero che la ricopre interamente, si procede alla rottura della cagliata. Il taglio della cagliata che si effettua con l’utilizzo di strumenti appositi come la lira o lo spino influenza il contenuto di umidità nel formaggio finito: un taglio a pezzi grandi darà vita a un formaggio più morbido, e viceversa più piccoli saranno i pezzi e più duro sarà il risultato. Il formaggio può essere crudo, semicrudo o cotto. Il primo non subisce nessun trattamento termico, mentre per gli altri due tipi la cagliata viene cotta per un tempo variabile, dai 15 ai 90 minuti, a una temperatura variabile, dai 38 ai 60 gradi. Questo procedimento viene utilizzato nei casi in cui ci sia un bisogno ulteriore di far asciugare la pasta ottenuta. Durante la cottura è necessario continuare a mescolare delicatamente la cagliata, cercando di non romperla ulteriormente. Una volta terminata l’eventuale cottura, il tutto viene lasciato a riposare per qualche minuto per far si che la cagliata si depositi sul fondo. Il siero, che si deposita in superficie, viene buttato via o conservato per altri scopi, per esempio per fare la ricotta. Arriva quindi il momento dell’estrazione della pasta, indipendentemente dal fatto che si tratti di formaggi a pasta molle o a pasta dura. I metodi sono tanti, dall’estrazione manuale con secchi a quella con teli, oppure con caduta dalle polivalenti (i contenitori in cui si fa e si rompe il caglio) che, sopraelevate dal pavimento, consentono la fuoriuscita della pasta, tramite tubazione, direttamente sul tavolo spersore. In tutti i casi, la pasta, che sta per diventare formaggio, viene poi posta dentro fuscelle in giunco o in plastica, oppure in fascere di legno o in teflon. Molti formaggi, in particolare quelli a pasta molle, a questo punto devono stufare, ovvero rimanere al caldo umido, per un determinato tempo. Altri, in particolare quelli a pasta semidura o dura, vengono pressati con pesi, presse meccaniche o idrauliche. Tutti i formaggi, salvo qualche piccola eccezione,vengono poi salati in salamoia o a secco. Questo step è necessario non solo per il gusto finale ma anche per una corretta conservazione e per la prevenzione di muffe indesiderate. Dopo la salatura le forme vengono lasciate ad asciugare per almeno 24 ore su stracci assorbenti, e una volta asciutte iniziano la loro stagionatura in ambienti adatti per giorni, mesi o anni. Tutto qui. Quanto alla classificazione, anzitutto si guarda al tipo di latte, vaccino, pecorino, bufalino, caprino e misto. Altro aspetto è il tipo di trattamento termico: pasta cruda, ovvero se la cagliata non subisce temperature superiori a 38°C (crescenza, gorgonzola, taleggio); pasta semicruda, ovvero massimo 48°C (fontina, asiago, provolone); pasta cotta, ovvero il riscaldamento della cagliata supera i 48°C (Grana, Parmigiano, Emmenthal); pasta filata, ovvero la cagliata viene sottoposta ad una filatura in acqua calda a 80-90 gradi (mozzarella, provolone). Contenuto in grassi (sul secco): formaggi grassi, se il grasso è superiore al 42%; semigrassi se il grasso è tra 42% e 20%; e magri se il grasso è inferiore al 20%. Consistenza della pasta: a pasta molle quando il loro contenuto in acqua è compreso tra 45 e 70%; a pasta semidura, quando il contenuto in acqua è compreso tra il 40 e il 45%; e a pasta dura e lunga stagionatura, quando il contenuto in acqua è inferiore al 40%. Periodo di stagionatura: freschi: quando non subiscono stagionatura, e sono consumati entro pochi giorni dalla produzione (mozzarella, Bel paese, formaggi bianchi); stagionati a maturazione breve, ovvero quando la stagionatura non supera i 20-40 giorni (crescenza, taleggio); stagionati a maturazione media, quando la stagionatura non supera i 6 mesi (fontina, gorgonzola, formaggi pressati); stagionati a maturazione lenta, quando la stagionatura dura più di 6 mesi (Parmigiano, Emmenthaler); erborinati, quelli nei quali una muffa alimentare produce le caratteristiche venature e chiazze verdi, durante la maturazione in ambienti freschi e umidi; pasta filata, caratterizzati da una filatura della cagliata in acqua bollente. Oggi per esempio mi spalmo un gorgonzola dolce e cremoso su dei gambi di sedano! Questa newsletter uscirà la vigilia di Natale, e non l’ultimo dell’anno.
Questo numero contiene:
La videoricetta: Passatelli, da una ricetta di Federico Sisti
Il ristorante della settimana: Cascina Lago Scuro, Stagno Lombardo (CR)
Il vino della settimana: Zero140 di Enrico Serafino
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato.
Se vi piace questa newsletter e volete condividerla con un amico buongustaio o un’amica buongustaia, c’è un comodo pulsante rosso qui sotto:
La videoricetta: Passatelli, da una ricetta di Federico Sisti
I passatelli sono uno dei tanti grandi piatti dell’Emilia Romagna. La loro ricetta risale al Medioevo e per quanto sia rimasta sostanzialmente invariata nel tempo nei suoi ingredienti base, ovvero pangrattato, Parmigiano e uova, richiede piccoli accorgimenti come l’aggiunta o meno di noce moscata, di scorza di limone o di un pizzico di farina. Insieme allo chef del ristorante Frangente, Federico Sisti, propongo la versione tradizionale dei passatelli in brodo, e una ricetta di passatelli asciutti che quest’anno utilizzerò per la cena della vigilia di Natale. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Cascina Lago Scuro, Stagno Lombardo (CR)
Siamo a Stagno Lombardo, in via Pagliari, 54, In piena campagna cremonese troviamo la Cascina Lago Scuro che risale al 1600-1700, di proprietà della famiglia Grasselli da più di 300 anni. Il complesso è enorme, composto da una grande aia circondata da ambienti e strutture articolate: la chiesa, la casa del fattore, la villa padronale, un cortiletto neogotico, poi stalle per cavalli e vacche e le abitazioni dei contadini. Nel 1990 Fabio Grasselli decide di trasferirsi in questa proprietà di famiglia e di avviare un’attività agricola che da allora è cresciuta e si è strutturata. Una decina di anni fa, il figlio Luca, laureato in filosofia a Milano e fresco di master in scienze gastronomiche a Pollenzo, insieme a sua moglie è entrato nella società e ha iniziato a contribuire al progetto di far rivivere quella che era la cascina di una volta. Nella bassa Lombardia c’è ancora qualche realtà che prova a ricostruire un modello in cui poderi, cascine e masserie erano il fulcro della vita delle persone. All’interno della cascina Lago Scuro c’è un vero e proprio ristorante familiare, la "cucina in cascina". L’area adibita a ristorante è attiva soprattutto per matrimoni ed eventi e nella stagione autunnale e invernale normalmente il sabato sera e la domenica a pranzo. Bisogna consultare il sito del locale, Cascina Lago Scuro, per sapere quali sono le prossime occasioni in cui il ristorante è aperto e bisogna affrettarsi a prenotare se si vuole avere l’opportunità di provarlo. I posti vanno esauriti velocemente. Il motivo è semplice: si mangia divinamente, in un ambiente bello e informale. Da urlo il salame cremonese, rigorosamente di produzione propria. Il pane, fatto in casa, è “addictive”, formaggi e mozzarelle pure. Tutto fatto con materie prime della cascina. Il menu degustazione prevede una serie di assaggi tra ortaggi, mozzarelle e formaggi, salumi e carni, pane, pasta e dolci. I piatti variano in base alla stagionalità e alla naturale disponibilità dei prodotti. Da non perdere le minestre in brodo, qualunque cosa di stagione contengano. Le verdure vengono dall’orto della cascina. Da urlo la sbrisolona e lo zabaione. Vale la pena di consultare il sito e prenotare! Consigliatissimo. Cascina Lago Scuro.
Il vino della settimana: Zero140 di Enrico Serafino
La Enrico Serafino, azienda di Canale, nella zona del Roero, che produce vini sin dal 1878, è rimasta un azienda familiare che ha mantenuto la sua originale anima artigianale, inclusa una cura per il dettaglio che l’hanno distinta sin dagli inizi dell’attività. Tra gli altri vini produce spumanti secondo il Metodo Classico secondo il rigido disciplinare dell’Alta Langa DOCG che richiede un’altitudine minima dei vigneti di almeno 250 metri s.l.m., il millesimo obbligatorio e un periodo minimo di affinamento sui lieviti, non inferiore ai 30 mesi. E’ stata la prima in assoluto a produrre un’Alta Langa Pas Dosé, lo Zero Riserva e ad applicare il concetto di affinamento estremo con la produzione dello Zero140 Riserva Pas Dosé affinato oltre 140 mesi sui lieviti. Ce ne parla Eros Teboni in un articolo recentemente pubblicato nella sezione vino di Passione Gourmet. Zero140 di Enrico Serafino. Buona lettura!
Buona domenica!
* * *
Questa newsletter è gratuita, ma se volete offrirmi uno dei caffè che consumo per scriverla potete farlo via PayPal, usando questo link Orazio Food Experience su PayPal e selezionando “invia denaro ad amici”.
Per fare la stessa cosa via Satispay, ecco il QR Code da inquadrare.