Benvenuti al numero 196 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! Approfitto per augurare in anticipo una buona Pasqua a tutti e per segnalare che domenica prossima, in occasione della Pasqua, questa newsletter non uscirà.
Non so se anche voi per Pasqua mangerete l’agnello. Poche tradizioni, nella nostra gastronomia, sono controverse e suscitano campagne di boicottaggio come il consumo dell'agnello a Pasqua. Per quanto riguarda l’agnello come simbolo sacrificale e della Pasqua bisogna risalire alla religione ebraica. Nell’Antico Testamento, nel libro dell'Esodo (Esodo, 12, 1-9), è Dio stesso che dice a Mosé ed Aronne che a Pasqua bisogna cucinare l’agnello e fornisce indicazioni su come cucinarlo: “non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere”. Per quanto paia ormai assodato che nella religione cristiana, come discusso durante il dibattito di Laodicea (anno 165) sulla Pasqua e ribadito nel 2007 da Papa Benedetto XVI, quello dell’agnello non abbia il significato di rito sacrificale (in quanto il vero sacrificio è stato compiuto da Cristo) e quindi si tratterebbe di un rito nostalgico, rimane pur sempre la tradizione, incorporata nei rituali pasquali probabilmente da ebrei convertiti, in una forma più blanda e pagana rispetto all'ebraismo, un passaggio probabilmente avvenuto sotto l'imperatore romano Costantino. La tradizione si è mantenuta viva giungendo fino a noi, in particolare nelle zone maggiormente dedite alla pastorizia come il Centro-Sud d’Italia. E si è perfino evoluta in singolari dolci a forma di agnellino, come nelle Marche e a Favara (Agrigento). Ma, più in generale, cibarsi dell’agnello durante la Pasqua era una delle poche occasioni per rimpinzarsi di carne di prima qualità (a Natale ci si era riempiti di carne di maiale). Un lusso per pochi, durante il resto dell'anno. La gastronomia italiana ci regala piatti del calibro dell'abbacchio a scottadito della cucina romana, dell'agnello al forno pugliese, di quello con piselli e uova della tradizione napoletana o di quello cacio e ovo della tradizione abruzzese, delle costolette d'agnello impanate al forno oppure fritte, dell'agnello con i carciofi, dell'agnello al forno alla sarda (con patate, carciofi e mirto) oppure, dalla Toscana, dello spezzatino d'agnello alla cacciatora e di quello in umido.
La carne di agnello, considerata tale se l’animale è macellato con meno di 12 mesi di età (attenzione: se è macellato prima, quando è ancora nel periodo di svezzamento e non ha ancora brucato l’erba si parla di agnello da latte o, nel Lazio, abbacchio), è una delle carni più pregiate, apprezzata per il suo gusto delicato e originale. La carne di agnello è disponibile in molti tagli differenti, come il carré, il cosciotto, la spalla, la sella, il collo o il petto.
E’ una fonte di proteine di alta qualità, contiene vitamine del gruppo B, come la tiamina e la niacina, fondamentali per il funzionamento del sistema nervoso e per la produzione di energia. Il suo contenuto proteico la rende anche particolarmente digeribile e quindi indicata per i bambini, già dalla fase di svezzamento. Rispetto ad altre carni bianche, la carne di agnello è poi una fonte preziosa di potassio e ferro e contiene anche altri minerali come lo zinco. È magra e poco calorica (100 grammi di carne cruda apportano circa 100 calorie e contengono 2,5 g di lipidi).
Per capire se l’agnello è buono è necessario che il colore della carne sia di un rosso piuttosto tenue tendente al rosa (nel caso di agnello da latte deve essere addirittura rosa chiaro). Inoltre la grana deve essere fine e il grasso deve risultare solido e asciutto.
Ecco i tagli dell’agnello.
Carré: è uno dei due tagli pregiati dell’agnello, ottimo arrostito. Se lo si taglia a fette tra un osso e l’altro, fornisce le costolette che devono essere sempre un po’ spesse affinché non induriscano in cottura. Si cuociono in padella, sulla griglia oppure in forno con le patate.
Cosciotto: è l’altro taglio pregiato dell’agnello da cui, intero o disossato, si ottiene un eccellente arrosto. La cottura avviene in forno. I tempi prevedono: per un cosciotto ben cotto, almeno 20 minuti per ogni 500g di peso a crudo.
Spalla: la forma di questo taglio è rettangolare, con carne soda e abbastanza gelatinosa, ma comunque piuttosto tenera. E’ speciale per essere farcita, arrotolata e arrostita in forno o sul fornello.
Sella: è un taglio tra le ultime costolette del carré e l’attaccatura del cosciotto. E’ una parte molto carnosa che si presta particolarmente per essere arrostita o brasata. La sella contiene anche due filetti dalla carne tenerissima. Quest’ultimi, tagliati a fette piuttosto spesse, forniscono dei medaglioni che sono ottimi da cuocere alla griglia oppure in padella con salsine delicate.
Collo: taglio saporito ed economico. La carne è piuttosto consistente e, per diventare tenera e succosa, richiede una lunga e lenta cottura. E’ un pezzo adatto soprattutto per preparare spezzatini, brasati e, se tagliato a fette molto sottili, ottimo per fare rotoli farciti.
Petto: un taglio che si trova nella parte inferiore dell’animale. Molto ricco di grasso e dotato di larghi ossi che vanno in genere eliminati prima di arrotolarlo e cuocerlo arrosto. Può venire anche farcito. Data la struttura dura e gelatinosa della sua carne, richiede una lunga e lenta cottura sia in casseruola che in forno.
L’agnello può essere preparato in diversi modi, da quello tradizionale alla griglia, fino alla cottura in padella o in forno. Per eliminare il sapore un po’ forte e per insaporire e ammorbidire la carne è sempre consigliabile fare una marinatura prima della cottura. A questo proposito vale la pena di ricordare che per una perfetta marinata è importante la presenza di un grasso (olio EVO per esempio), una sostanza acida (come ad esempio vino, aceto o limone: per l’agnello consiglio un mix tra aceto e limone in misura doppia rispetto all’olio EVO), un emulsionante (della senape o della lecitina di soia) e spezie a piacere. E’ molto importante mixare i liquidi con un emulsionante, per evitare che grassi e acidi si separino, in modo che la sostanza acida veicoli quella grassa nelle fibre (ecco il perché della senape). Attenzione che la marinatura avvenga in frigorifero; se si riesce a farla in una busta messa sottovuoto, si possono ridurre i tempi a una mezz’oretta. Per cucinare la carne di agnello al meglio, soprattutto i tagli più pregiati, è importante non cuocerla troppo, per evitare che diventi secca e stopposa. Inoltre, è consigliato utilizzare solo sale e spezie naturali, per esaltare il sapore della delicata carne.
Io ho già prenotato carrè e cosciotto per la prossima settimana. Attenzione che se vi ricordate di fare la spesa giovedì prossimo, potrebbe essere tardi!
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Questo numero contiene:
La videoricetta: Tagliatelle, asparagi e gamberi
Il ristorante della settimana: Iyo Temporary, Milano
Il vino della settimana: Avignonesi: grandi vin santo, ma non solo
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato.
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La videoricetta: Tagliatelle, asparagi e gamberi
Sarà il mio piatto di Pasqua. Tagliatelle all’uovo (o altra pasta all’uovo come ad esempio tonnarelli o pappardelle) con una crema di asparagi, gamberi appena saltati e scaglie di pecorino. Un piatto semplice e gustosissimo. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Iyo Temporary, Milano
Siamo a Milano, in Piazza Alvar Aalto, nell’area pedonale del quartiere di Porta Nuova, nella stessa piazza in cui troviamo Aalto e IYO Omakase e Al Mercato. Iyo Temporary, è il nuovo “temporary restaurant” di Iyo Experience, che ha chiuso i battenti alla fine del 2023 in via Piero della Francesca per rinnovare completamente i locali (fine dei lavori prevista per giugno).
Milano vanta una dozzina di rIstoranti stellati: due di questi, Aalto e Iyo Experience, appartengono all’imprenditore Claudio Liu, due ristoranti unici nel loro genere. Il primo è un locale di fine dining che si potrebbe definire transnazionale con una forte impronta asiatica (fusion ormai non si usa più, e nella circostanza sarebbe anche non appropriato), il secondo è un locale di fine dining con marcato sfondo giapponese marcato Iyo Experience. Ora stanno entrtambi nella stessa piazza.
Iyo Temporary ha settanta i posti a sedere in quello che qualche tempo fa era un ristorante Thai, anche se, nonostante la prospettiva di spostarsi per pochi mesi, l’interior design ha qualcosa di Iyo Experience e forse qualcosa di quello che diventerà alla fine dei lavori (l’architetto che ha ppreparato questa sede temporanea è lo stesso che si sta occupando del restyling in Pier della Francesca). La location è intima e accogliente. Per gli affezionati di Iyo Experience, all’accoglienza troviamo sempre Ilaria Hu, il servizio, sempre attento e molto curato, è assicurato da Erik Culzoni e l’ottima carta dei vini continua a essere affidata a Danilo Tacconi.
Oltre a un’ampia scelta alla carta c’è un menu degustazione di 9 portate a 125 euro (con i vini in abbinamento a 70 euro). Il fornitissimo (forse anche troppo) menu alla carta resta fedele alla filosofia di cucina di IYO Experience, proponendo sushi innovativo e alta cucina giapponese contemporanea, con una selezione dei migliori piatti storici del ristorante, oltre a degli “special”, creati in esclusiva per IYO Temporary. Tra i classici Ika Somen, un crudo di calamaro nazionale sfrangiato e microinciso, con uovo di quaglia, caviale Royal Oscietra non pastorizzato e verdure croccanti con circa centottanta-duecento incisioni per ogni porzione di calamaro di circa cinquanta grammi (22 €); la Tartare di wagyu con cracker di amaranto, estrazione di mandorla d’Avola, zucchine in osmosi e katsuobushi di mela (28 €); e i Gyoza al wagyu: ravioli di pasta di spinaci, accompagnati da salsa a base di verdure, aceto di riso e salsa di soia, finocchio croccante e germogli di finocchio di mare (22 €). E ci sono anche piatti nuovi come Agemono mix, una selezione di fritto di calamari, scampi e gamberi, accompagnata da una salsa a base di bisque di crostacei e una maionese allo yuzukosho, Suzuki amaebi roll, funghi enoki in tempura, avocado, carpaccio di branzino con tartare di gamberi rossi di Mazara del Vallo e salsa sedano e ichimi, e Pistacchio, yogurt e lampone, una bavarese e frollino al pistacchio di Bronte, cuore morbido allo yogurt, sorbetto al lampone e biscotto allo yogurt. Un ristorante eccellente, da non perdere che bisogna prenotare con un certo anticipo. Iyo Temporary.
Il vino della settimana: Avignonesi: grandi vin santo, ma non solo
Questa volta parlo di una cantina che ho appena visitato senza un link a qualche articolo scritto da me o da altri. Avignonesi è una realtà storica tra le più conosciute nel panorama vitivinicolo della Toscana meridionale, nel cuore della Docg del Vino Nobile di Montepulciano. La sua esistenza pare risalire alla seconda metà del XVI secolo, periodo durante il quale fu costruito il palazzo Avignonesi a Montepulciano. La notorietà della cantina, tuttavia si deve a Ettore e Alberto Falvo che nel 1974 decidono di rilevarla e rifondarla completamente, lasciando però invariato il nome e cominciando a investire in modo consistente nella viticoltura con l’obiettivo, già chiaro a quei tempi, di produrre vini di qualità. Nel 2009 la tenuta è stata acquistata da Virginie Saverys, da Gand, in Belgio, che, dopo aver esercitato con successo la professione forense nel suo paese natale, decide di cambiare vita e dedicarsi alle sue passioni: la viticoltura e la produzione del vino. Trasferitasi in Toscana nel 2007 acquista una quota di minoranza in Avignonesi per acquisirne la maggioranza nel 2009. La propensione di Virginie al rispetto dei tempi della natura e l’amore per il territorio la spingono ad approdare all'agricoltura biologica prima e biodinamica poi. Acquista vigneti nella zona di Montepulciano, praticamente raddoppiando la superficie a essi dedicata e bandisce i prodotti chimici e tossici di cui i terreni erano impregnati a causa del tipo di agricoltura fino ad allora praticata, che si potrebbe definire “tradizionale”, introducendo pratiche in grado di restituire la vita a terreni che oggi contengono piante rinvigorite che hanno rafforzato il loro sistema immunitario e una fauna che ha trovato un paradiso che la ospita. Oggi la cantina Avignonesi, con 170 ettari di vigneti biologici e biodinamici completamente certificati è la più grande realtà vitivinicola gestita secondo i principi dell'agricoltura biodinamica in Italia. Inoltre, nel 2021, Virginie trasforma Avignonesi in “Società Benefit”, ovvero un tipo di struttura societaria (che dal 2016 può essere adottato anche in Italia), che, insieme all’obiettivo del profitto, si propone di produrre benefici comuni sia per la società che per l’ambiente. I vigneti dell’azienda sono otto nella zona di Montepulciano (Le Capezzine, Le Badelle, Poggetti, La Banditella, Greppo, Lodola, El Grasso e Matracchio) e uno nella zona di Cortona (La Selva), dedicati in gran parte al sangiovese ma popolati sia di vitigni autoctoni che di vitigni internazionali. Da tutto ciò nascono bottiglie di grande qualità. Tra queste forse le più note sono i due vin santo, entrambi straordinari: uno a base di trebbiano e malvasia, il Vin Santo di Montepulciano Doc e l’altro, l’Occhio di Pernice, 100% sangiovese, anch’esso Vin Santo di Montepulciano Doc. il cui segreto sembra essere una maturazione di dieci anni in piccole botti (caratelli) da 50-60 litri con l’aggiunta del lievito indigeno, chiamato “madre”, che si tramanda da tante generazioni. Ho assaggiato il 2010 (il primo prodotto sotto l’egida di Virginie): un vero nettare. Inoltre vengono prodotti vini storici come il “Desiderio” (un merlot in purezza), il “50 & 50” (50% sangiovese della cantina chiantigiana e amica Le Capannelle e 50% merlot delle vigne di Avignonesi), il “Grandi Annate” (un IGT, 100% sangiovese, prodotto solo nelle grandi annate) o il “Grifi” (un blend di cabernet sauvignon e sangiovese riportato alla luce dalla nuova proprietà dopo che si era smesso di farlo nel 1996), e vini di più recente produzione tra cui citerei il Poggetto di Sopra e La Tonda (quest’ultimo acquistabile solo recandosi in loco alle Capezzine), entrambi 100% sangiovese, il primo, Nobile di Montepulciano Docg, di cui ho assaggiato recentemente uno strabiliante 2019, e il secondo, un IGT, di cui ho assaggiato recentemente un commovente 2015.
Buona domenica!
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Per carità, tenga in piedi le tradizioni, almeno lei. Grazie molte e buona Pasqua.