Benvenuti al numero 222 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana!
A chi piacciono le rane? A me piacciono moltissimo. Non resisto di fronte a un piatto di rane fritte. Se poi sono condite con burro nocciola (prima o poi spiegherò in un video come farlo perfetto) diventano irresistibili.
Le rane e la loro reputazione
In alcune parti del mondo, come nell'Asia orientale, le rane sono apprezzatissime. Entrano anche in zuppe e sashimi. Sono apprezzate negli Stati Uniti, soprattutto le cosce della rana-toro, piuttosto grandi e carnose. In Europa sono apprezzate in Francia e nel Nord Italia, soprattutto nelle aree irrigue della Pianura Padana, dove erano parte integrante della cucina popolare.
Eppure in gran parte delle culture la rana è associata a qualcosa di fastidioso e sgradevole. Nel medioevo la rana era spesso vista con valenza negativa perché era legata alla stregoneria: nei sabba delle streghe si usavano le secrezioni prodotte da alcune specie di questo anfibio per le loro proprietà allucinogene; solo successivamente la rana divenne una risorsa preziosa per il mondo contadino. Ingoiare il rospo (anche se qui parliamo di rane e non di rospi!) è associato a qualcosa di fastidioso e che devi accettare controvoglia. Gli inglesi chiamavano con disgusto i transalpini con l'appellativo di “frog eaters” (mangiarane). Quando i fratelli Grimm hanno dovuto individuare un animale che nell’immaginario fosse disgustoso, non ci hanno pensato due volte: un ranocchio (Il principe ranocchio).
Un tempo prelibatezza facilmente disponibile, oggi rarità
Le rane, una volta onnipresenti tra gli stagni, le risaie e i fossi della campagna, rappresentano comunque un tesoro gastronomico e culturale che oggi sta tornando alla ribalta. Considerate una prelibatezza nel passato, sono state per lungo tempo fonte essenziale di proteine per molte comunità contadine, soprattutto grazie alla loro carne tenera e nutriente. Infatti, nelle zone d’Italia dominate dalla coltivazione del riso e quindi dalla presenza dell’acqua, questi anfibi erano degli elementi fondamentali per il sostentamento delle famiglie povere. In regioni come il Piemonte, la Lombardia o il Veneto, oltre alla risicoltura, il procacciamento e la cucina legati alle rane avevano un ruolo sociale importante. Oltre alle regioni appena citate, c’è una tradizione legata al consumo di rane anche in Lazio, nelle Marche e in Emilia (l’Accademia Italiana della Cucina, Delegazione di Bologna ha depositato la ricetta del risotto alle rane nel 2007 attraverso atto notarile presso la Camera di Commercio di Bologna!). Le rane non offrono solo proteine: le loro ossa fragili e croccanti sono anche ricche di calcio.
La raccolta delle rane nel passato
Si ha notizia di ricette con le rane sin dal medioevo. In epoca successiva Bartolomeo Sacchi, umanista e gastronomo italiano, detto Platina, nel suo trattato di gastronomia De honesta voluptate et valetudine, stampato per la prima volta tra il 1473 e il 1475, inserisce la ricetta delle rane fritte.
In passato, la raccolta delle rane era un'attività molto comune e praticata da molti. Fino a pochi decenni fa, le rane abbondavano nei terreni umidi, tanto che la loro caccia veniva concessa gratuitamente dai nobili ai contadini. Era un'attività così diffusa che per liberarsi di una persona molesta, si usava l'espressione "ma va' a ranare!", un invito a impiegare meglio il proprio tempo andando a catturare rane. Non era un compito particolarmente difficile: la disponibilità delle rane era tale che si potevano prendere a mani nude o con semplici retini. Un tempo, esisteva persino la figura del "ranee", il venditore di rane. Questo personaggio, particolarmente attivo nei mesi favorevoli, catturava rane nei fossi e lungo le rogge periferiche per poi venderle in città, dove venivano apprezzate e utilizzate soprattutto nella preparazione del risotto.
La situazione attuale: rane selvatiche e d'importazione
La pesca delle rane selvatiche oggi è regolamentata. Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari ne consente la caccia dal 1° ottobre al 30 giugno, in modo da favorirne la riproduzione durante l'estate. I limiti sono chiari: non più di 5 chilogrammi o 50 esemplari al giorno per persona. Inoltre, sono vietate pratiche come l'uso di ami ad ancorina, trappole o caccia notturna con luci, una tecnica largamente utilizzata in passato. In Lombardia, la tradizione vuole che la caccia alle rane avvenga solo nei "mesi con la r", ossia nei periodi di inizio primavera e autunno, poiché nei mesi estivi, senza la lettera "r", le rane si dedicano alla riproduzione.
Come si può facilmente immaginare, oggi di rane selvatiche se ne trovano pochissime, a causa delle bonifiche e dell'urbanizzazione; inoltre, l'allevamento di rane in Italia è impedito dalla Convenzione di Berna del 1979, entrata in vigore da noi nel 1981, che mira alla conservazione dei biotopi europei e della vita selvatica in genere. Così le rane oggi non sono più un cibo povero, ma ricercato, pregiato e piuttosto costoso. Sul mercato se ne trovano perlopiù d'importazione, allevate in Cina, Taiwan, Thailandia, Malesia e Vietnam, oppure pescate in Turchia e Albania.
Le rane in cucina
Se cercate delle rane da cucinare, la cosa migliore è rivolgersi al proprio pescivendolo. Occhio: non devono avere un colorito giallastro, perché in tal caso vorrebbe dire che non sono fresche. Forse però il modo migliore per mangiarle rimane al ristorante.
Sicuramente il modo migliore per mangiarle è infarinarle e friggerle. Una variante molto golosa è quella delle rane alla vercellese. In pratica, le rane infarinate e dorate nel burro vengono messe in un sughetto a base di salsa di pomodoro e bieta ben tritata in un soffritto di aglio, olio, peperoncino e prezzemolo. Si sfuma con vino bianco e si fa stufare, prima di servire il tutto con pane croccante. Naturalmente, non si può dimenticare il risotto alle rane, in cui si utilizzano solo le cosce, ben pulite, sbollentate e private dell’ossicino interno.
Quando si parla di rane in cucina non è facile rivaleggiare con i vicini francesi. In effetti, ci sono due posti dove ho mangiato le migliori rane della mia vita, entrambi in Francia: da Georges Blanc a Vonnas, non lontano dalla Borgogna, e all’Auberge de l’Ill a Illhaeusern in Alsazia.
Nei prossimi giorni andrò in Borgogna: quasi quasi faccio una capatina a Vonnas!
Se ti è piaciuto questo post, fammelo sapere usando il cuoricino per i like!
Questo numero contiene:
La videoricetta: Magatello di manzo a bassa temperatura
Il ristorante della settimana: Daniel Canzian, Milano
Il vino della settimana: Elizabeth Spencer: Cabernet Sauvignon di Napa Valley
Se vi piacciono gli argomenti che tratto, aiutatemi a diffondere questa newsletter! Pensate a un amico buongustaio o un’amica buongustaia e usate questo pulsante rosso qui sotto per condividerla, è gratis:
Se vi occorre qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato. Acquistare da questi link è un modo per sostenere il lavoro che sta dietro ai video.
La videoricetta: Magatello di manzo a bassa temperatura
E’ un po’ di tempo che non giravo un video sulla preparazione di una ricetta usando la tecnica della bassa temperatura sottovuoto. Ora che sto per ultimare la preparazione del mio corso su questa eccezionale tecnica di cottura, destinato a chi cucina a casa (oltre 50 video per oltre 5 ore di programmazione con dispensa che spiega tutto), e che sarà disponibile tra qualche settimana, mi sembrava un buon momento per proporne una. Ho usato un taglio del manzo che a me piace molto, particolarmente magro e perfetto per l’arrosto: il magatello (girello in Piemonte, lacerto in Campania). Normalmente si usa il magatello di vitello per fare il vitello tonnato. Io, invece del vitello, ho usato il manzo. Nell’occasione ho comunque preparato una salsa tonnata per condirlo. Risultato eccellente. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Daniel Canzian, Milano
Siamo a Milano, in zona Brera, all’angolo tra via Castelfidardo e via San Marco. Daniel Canzian (il ristorante ha lo stesso nome dello chef e patron) è spazioso e sobriamente decorato. I tavoli sono ampi e ben distanziati, assicurando intimità e privacy. All’entrata, sulla destra dietro a un bancone, c’è la cucina a vista. Mangiare al bancone affacciato sulla cucina rende l’esperienza conviviale ed emozionante. Lo chef è uno dei “Marchesi boys” (che della costellazione di ristoranti del “Maestro” è stato anche executive chef). Oggi è anche il presidente europeo dei Jeunes Restaurateurs d’Europe. Semplicità, stagionalità, regionalità, rivisitazione delle ricette tradizionali alleggerendo e togliendo invece che aggiungendo, qualità e riconoscibilità della materia prima uniti a grande tecnica, sono i capisaldi della cucina di Daniel, evidenti sia nei piatti dedicati al Veneto, la sua regione natale, che in quelli di altre zone dell’Italia. Le spinte acidule e fruttate della Capasanta alla Serenissima, l'equilibrio del Risotto “Joan Mirò” ai frutti di mare con tre salse, una al prezzemolo, una al corallo e una al nero di seppia, la raffinatezza del Brodetto vivace dell’Alto Adriatico con frutti di mare e alghe in un infuso di pomodoro al pepe di Timut o la perfezione del Maialino caramellato sono un trionfo di gusto, sapienza tecnica e qualità degli ingredienti. Giovane e professionale il servizio. Ben articolata e con ricarichi ragionevoli la carta dei vini. Menù con i piatti più noti dello chef a 120 euro e menù dedicato alla cucina veneta a 100 euro. Per gli under 40, menù di cinque portate a 50 euro. Alla carta sui 90 euro. Business lunch, con benvenuto, acqua, caffè, piccola pasticceria e coperto inclusi a 35 euro. Uno di quei posti che riesce a coniugare grande piacevolezza e accessibilità. Consigliatissimo! Daniel Canzian
Il vino della settimana: Elizabeth Spencer: Cabernet Sauvignon di Napa Valley
Dopo una lunga e fortunata carriera nell’industria vitivinicola, Spencer Graham e sua moglie Elizabeth Pressler fondano la cantina Elizabeth Spencer nel 1998 e iniziano a vendere i loro vini nel 2000. Siamo nel cuore della Napa Valley, a Rutherford Cross Road, in uno storico ufficio postale in mattoni che risale al 1872. Il vino di debutto è stato il Napa Valley Cabernet Sauvignon del 1998, che da allora è stato prodotto ogni anno. Nel tempo sono state sviluppate una serie di collaborazioni con prestigiosi viticoltori che hanno portato a coltivare e produrre una moltitudine di vini provenienti da varie parti della Napa Valley, ma anche da Sonoma e da Mendocino. Nel 2021, l'azienda è entrata a far parte della Boisset Collection guidata da Jean-Charles Boisset, che ha implementato l’agricoltura biologica e biodinamica in tutti i vigneti. Serena Sparagna ha scritto per la sezione vino di Passione Gourmet un articolo sulla Napa Valley, sull’azienda Elizabeth Spencer e sul loro Cabernet Sauvignon Napa Valley 2019. L’articolo contiene anche un video in cui il vino viene assaggiato alla cieca e commentato da Eros Teboni, nominato nel 2018 miglior sommelier al mondo, da Leila Salimbeni, direttrice della rivista Spirito di vino e dal sottoscritto. Elizabeth Spencer: Cabernet Sauvignon di Napa Valley
Buona lettura e buona domenica!
* * *
Questa newsletter è gratuita, ma se volete offrirmi uno dei caffè che consumo per scriverla potete farlo via PayPal, usando questo link Orazio Food Experience su PayPal e selezionando “invia denaro ad amici”.
Per fare la stessa cosa via Satispay, ecco il QR Code da inquadrare.
👍