Benvenuti al numero 230 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! Oggi vorrei parlare di panettone. Si avvicinano le festività di fine anno e il consumo di panettone e pandoro è un’usanza a cui milioni di Italiani, e non solo, non possono assolutamente rinunciare. Anzitutto, quale dei due piace di più? I dati di produzione del 2023 diffusi dall’Unione italiana Food, associazione di categoria alimentare che rappresenta oltre 550 imprese, dicono che il panettone registra un aumento del 3,5% in termini di volume, per un totale di 37.647 tonnellate, e di 6,5% per quanto riguarda il valore, raggiungendo un giro di 237,9 milioni di euro; mentre il pandoro è in crescita del 4,1% per volume, nel complesso 32.073 tonnellate e del 5,9% per valore, raggiungendo un totale di 165,2 milioni di euro. Insomma il panettone è sempre al primo posto, anche se sembra che il pandoro faccia maggiore breccia sui giovani.
La storia del panettone
Il panettone ha origini antiche, anche se la storia circa la sua nascita è sospesa tra storia e leggenda. Di certo c’è che è nato a Milano, e ci sono non uno, ma ben tre racconti sulla sua origine. Secondo una prima versione, “Panettone” viene da Pan de Toni, in onore di Toni, umile sguattero della cucina di Ludovico il Moro, che ne sarebbe l’inventore. Al banchetto della vigilia di Natale del 1495, il capocuoco degli Sforza brucia il dolce e Toni decide di sacrificare il panetto di lievito madre che aveva tenuto da parte lavorandolo a più riprese con farina, uova, zucchero, uvetta e canditi. Il risultato è un successo e il Duca chiama questo dolce Pan de Toni in omaggio al suo creatore. Sempre nella stessa epoca la seconda storia. Un tal Ughetto, di famiglia facoltosa, si innamora della figlia di un fornaio e si fa assumere in bottega. Crea un dolce che diventa di successo arricchendo il pane con burro e zucchero, e poi anche con pezzetti di cedro candito, uova e uvetta. I due ovviamente si sposano e vivono felici e contenti. Una terza storia farebbe risalire il panettone a una suora, una certa Ughetta, che per rallegrare il Natale delle consorelle decide di aggiungere all’impasto del pane zucchero, uova, burro, cedro candito e uvetta. Il fatto che “ughet” in milanese significa proprio uva passa rende queste ultime due storie alquanto sospette. La vera origine del panettone va ricercata più realisticamente nell’usanza diffusa nel medioevo di celebrare il Natale con un pane più ricco di quello di tutti i giorni. Un manoscritto del 1470 di Giorgio Valagussa, precettore di casa Sforza, attesta la consuetudine ducale di celebrare il cosiddetto rito del ciocco. La sera del 24 dicembre si poneva nel camino un grosso ciocco di legno e, nel contempo, venivano portati in tavola tre grandi pani di frumento, materia prima per l’epoca di gran pregio (il pane allora si faceva con segale, avena, farro, panico e miglio). Il capofamiglia ne serviva una fetta a tutti i commensali, serbandone una per l’anno successivo, in segno di continuità. Anche un’altra realtà storica avvalora la derivazione del panettone dal grande pane di frumento natalizio: fino al 1395 tutti i forni di Milano (tranne il prestino dei Rosti, fornitore dei più abbienti) avevano il permesso di cuocere pane di frumento solo a Natale, per farne omaggio ai loro clienti abituali. L’abitudine di consumare pane di frumento a Natale, quindi, è molto antica. Non c’è da stupirsi, perché molte altre città italiane ed europee condividevano l’usanza del pane arricchito della festa. La prima definizione ufficiale di panettone tuttavia risale al 1606: il Panaton, nel Dizionario milanese-italiano, era “un Pan grosso, qual si suole fare il giorno di Natale…; di pari o simil pasta ma in panellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamiamo Panattonin.” Allora i panettoni erano ancora molto bassi, simili a focacce. Il lievito fa la sua comparsa nel ricettario “Nuovo cuoco milanese economico” del 1853 di Giovanni Felice Luraschi. I cubetti canditi (di cedro) compaiono nel “Trattato di cucina, pasticceria moderna” (1854) di Giovanni Vialardi, cuoco dei regnanti sabaudi. Rimanendo nel campo dei documenti ufficiali, Francesco Cherubini, invece, nel suo celebre Vocabolario milanese-italiano stampato fra il 1839 e il 1856, riporta: “Panaton o Panatton de Natal come una specie di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina o sultana”. È proprio nella seconda metà dell’Ottocento che le testimonianze di panettoni si moltiplicano, mentre nel secondo dopoguerra, con l’aggiunta di lievito madre e più uova e burro, acquisisce l’aspetto che tutti oggi conosciamo. Oggi la ricetta originale del panettone è tutelata dalla legge italiana, con il Decreto 22 luglio 2005 che ne disciplina la produzione e la vendita e il Decreto Ministeriale del 16 maggio 2017 che fa alcune precisazioni in merito agli ingredienti.
Il panettone oggi
Il panettone artigianale o industriale, o panetùn è un impasto lievitato, ricco e importante, a base di acqua, farina forte, tuorli d’uovo e burro, a cui si aggiungono uvetta, scorza d’arancia candita e cedro, che una volta cotto nel suo pirottino assume la tipica forma a cupola! E’ diventato il dessert sovrano delle feste natalizie in Italia. Per quanto la sua origine sia lombarda, è talmente buono che ormai viene prodotto non solo in tutta Italia, ma addirittura nel mondo, soprattutto in Argentina e Brasile. Un buon panettone dovrebbe avere una cupola regolare e tondeggiante, forma allungata e un bel colore biscotto. Dovrebbe essere soffice al tatto, morbido al taglio e di colore giallo all’interno, con un’alveolatura omogenea e allungata. Non deve sbriciolarsi allo strappo, ma “fare il filo”, ovvero avere una mollica filante, che si stacca in piccoli pezzi allungati. All’assaggio deve sprigionare un aroma di burro, vaniglia e agrumi, con una consistenza scioglievole e morbida, senza ammassarsi né lasciare una patina unta al palato. Uvetta e canditi devono essere ben distribuiti nella mollica e nella glassa di copertura croccante, quando c'è.
Una classifica dei panettoni
Qualche giorno fa, anche se probabilmente non si sentiva la mancanza di una ulteriore classifica a riguardo, ho partecipato insieme a un gruppo di critici di Passione Gourmet a una valutazione di una ventina di panettoni, sia di pasticceria che di alcuni rinomati chef. Per la nostra valutazione abbiamo tenuto conto di profumi, aspetto, ingredienti, persistenza, texture, equilibrio e (con peso doppio rispetto agli altri parametri) sapore. Due le batterie di lievitati, tutti degustati alla cieca e successivamente valutati dal punto di vista visivo, con classifiche separate fra panettoni firmati da noti chef e panettoni di pasticceria. Premesso che tutti i panettoni selezionati per la nostra degustazione erano veramente top, commenti e risultati verranno pubblicati domani in un gradevole, ironico e competente articolo di Carlo Cappelletti sul sito di Passione Gourmet. Anticipo che tra i panettoni degli chef ha prevalso quello di Da Vittorio, il noto ristorante tristellato di Brusaporto, “che riesce a prevalere grazie alla bontà degli ingredienti e a un quadro olfattivo particolarmente suadente”, mentre tra quelli di pasticceria abbiamo un ex aequo, tra la pasticceria bolognese Forno Brisa, il cui panettone “spicca grazie all’equilibrio e all’eleganza dell’insieme”, e la gelateria e pasticceria milanese (ma con radici parmensi) Ciacco Lab, “con un lievitato sottile, allusivo e tremendamente piacevole al morso.
Che panettone scegliere per Natale?
Il panettone deve essere buono. Io preferisco i panettoni artigianali a quelli industriali. Ma come fare a riconoscere che un panettone sia veramente artigianale, senza poterlo aprire e valutarne colore, forma, morbidezza, profumo e chi ne ha più ne metta? Oltre al prezzo che nol panettone artigianale è normalmente piuttosto alto, (sicuramente la parte più salata del panettone!) l’unica cosa che si riesce a controllare è la data di scadenza e la lista degli ingredienti. In genere se un panettone è veramente artigianale ha una data di scadenza piuttosto corta (meno di 70 giorni a causa del fatto che nei panettoni di alta qualità non si dovrebbe fare uso di conservanti), mentre quelli industriali hanno data di scadenza più lunga avendo necessità di una lunga shelf life. Quanto alla lista degli ingredienti forse l’unica cosa che si riesce a controllare è che ci sia il burro e non la margarina. Se poi non si ha voglia di fare gli Sherlok Holmes la cosa migliore è andare dalla pasticceria di fiducia, che è quello che farò io.
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PS: Presto uscirà il mio videocorso sulla cottura a bassa temperatura sottovuoto. Ho già approntato il sito che verrà pronto tra qualche giorno che descrive il corso e ne consente l’iscrizione.
Questo numero contiene:
La videoricetta: Baccalà a bassa temperatura su crema di zucca
Il ristorante della settimana: La Cucina, Rho (MI)
Il vino della settimana: Il Pinot Nero della Cantina Gottardi tra storia e identità
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La videoricetta: Baccalà a bassa temperatura su crema di zucca
La bassa temperatura è perfetta per cucinare il baccalà. Nella videoricetta di questa settimana lo propongo su una crema di zucca e un letto di erbette saltate. Una delizia. Buona visione!
Il ristorante della settimana: La Cucina, Rho (MI)
Siamo a Rho, in Via Porta Ronca 86, una zona in cui la vicinanza della Fiera ha portato insieme a una serie di strutture ricettive di livello anche qualche ristorante. Fondato in piena pandemia da Gaetano Marinaccio, lo chef, e Nadia Petronio, in sala, La Cucina è un ristorante gourmet dall’ambiente intimo (una ventina di coperti), luci soffuse e atmosfera accogliente che ti mette subito a tuo agio. Gaetano propone piatti della tradizione italiana rivisitati in modo creativo e contemporaneo con grande attenzione alla qualità della materia prima. Ne risulta una cucina gradevole sia alla vista che al palato. Ottima ad esempio l’interpretazione della Parmigiana di melanzane, che risulta veramente golosa; eccellente il Risotto alla milanese, a cui l’aggiunta di polline aggiunge un tocco di originalità e profumo. Di livello il vassoio dei panificati.
Oltre alla possibilità di ordinare alla carta, la proposta è articolata su 5 menù degustazione: “Sfumature”, 8 portate a 95 euro (mare, terra e vegetali), “Verdisio” 6 portate a 80 euro (vegetariano), “Terravita”, 6 portate a 80 euro (carni e vegetali), “A mano libera”, 4 portate a 70 euro (piatti a scelta dello chef), e “Conosciamoci”, 3 portate a sorpresa a 50 euro (solo il sabato a pranzo).
Nadia in sala è attenta, competente e capace di coccolare ogni ospite. La cantina è di livello con ricarichi corretti e buona proposta al calice. Una bella scoperta. Consigliatissimo! La Cucina, Rho (MI)
Il vino della settimana: Il Pinot Nero della Cantina Gottardi tra storia e identità
La cantina (weingut) Gottardi fu fondata nel 1986 da Bruno e Alexander Gottardi. Siamo a Mazzon, in Alto Adige, nel paradiso del Pinot Nero: nove ettari di vigneto esposti a ovest, distribuiti su 7 appezzamenti, su suoli di rocce calcaree del Triassico, siltiti rosse e gialle, arenarie, depositi torrentizi e fluvioglaciali, circondati dai boschi del Parco Naturale Monte Corno. L’azienda, che oggi è guidata da Elisabeth Gottardi, dal 2010 è dedicata interamente alla produzione di Pinot Nero. Eros Teboni ha pubblicato recentemente nella sezione vino di Passione Gourmet un articolo che ci parla di Mazzon, della Weingut Gottardi e dei suoi magnifici Pinot Neri. Ecco link: Il Pinot Nero di Weingut Gottardi tra storia e identità
Buona lettura e buona domenica!
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