Benvenuti al numero 241 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! Cosa ne pensate dei voti che guide o commentatori noti attribuiscono ai vini? Che il modo migliore per esprimere un giudizio sia attraverso un commento, una menzione o un voto numerico è oggetto di lunghi dibattiti da sempre. Il voto o la menzione sintetica (del tipo: accettabile, buono, molto buono, eccezionale, piuttosto che bicchieri, stelle, pallini o asterischi) ha il vantaggio di essere chiaro, sintetico e inequivocabile e quindi a mio avviso è necessario. Naturalmente penso anche che un voto senza motivazione sia completamente inutile. Penso d’altra parte che scrivere commenti senza quantificarli con un voto non serva a chiarire il giudizio e soprattutto il ranking di chi fa il commento. Quindi alla domanda se i voti servono rispondo di sì. Voi?
A patto però che i voti siano chiari, qualunque sia la scala usata (valutazione sintetica, centesimi, ventesimi). Cosa vuol dire buono o eccezionale? Cosa vuol dire 85 o 95? La potenzialità del vino di esprimersi in futuro è inclusa nel voto o quel voto si riferisce a quel vino bevuto adesso? Ho iniziato alle elementari con voti in decimi. E’ stato così anche alle medie e al liceo. Poi all’università ho sperimentato i trentesimi. Nel vino ho sperimentato qualcosa di simile. Le scale che ritengo più chiare sono le seguenti, anche se ho una personale preferenza per quella in centesimi (le altre includono il mezzo punto o il più e il meno. Meglio i centesimi).
Il 100 così come il 20 o il 10 li ho lasciati senza una valutazione di sintesi, liberi per le iperboli. Chi ha pensato di dare (è stato fatto in una nota guida!) 110 e lode a qualche vino, spero lo abbia fatto solo per paradosso e ironia, tanta ironia.
Detto questo oggi la sensazione, anzi l’evidenza, è che perfino la scala dei centesimi col tempo sia diventata troppo corta, troppo sfruttata negli ultimi anni dalle principali guide solo nelle zone più alte, tanto da essere quasi diventata una scala decimale, da 90 a 100. Ci sono molte ragioni per questo, a cominciare dall’aumentata qualità dei vini, e non solo di quelli prodotti nelle zone tradizionali, grazie sia alle migliori pratiche in vigna che hanno permesso alle vendemmie di crescere in qualità, sia alle maggiori conoscenze sulla vinificazione che hanno portato a migliori pratiche in cantina. Ma ci sono anche altre ragioni, la principale delle quali tratterò tra un attimo. Quando, a opera di Robert Parker, è nata la scala in centesimi per valutare i vini, era chiaro che l’obiettivo principale (forse il solo allora) era orientare il consumatore (questo dovrebbe essere, a mio parere, il solo obiettivo di una guida anche adesso). Ed era lo stesso con tutte le guide nate in quel periodo (fine anni ’80, inizio anni ’90), che adottassero simboli come grappoli o bicchieri o numeri come ventesimi o centesimi. Qualche giorno fa, mettendo ordine tra i libri, ho trovato l’edizione 1998 del volume di Robert Parker “Bordeaux - A Comprhehensive Guide to the Wines Produced from 1961 to 1997”. Ho riguardato un po’ di recensioni e valutazioni in centesimi e mi sono fatto l’idea che attualmente ogni valutazione è aumentata rispetto a quel periodo di almeno sette o otto punti. Ho selezionato Château Lafite come esempio dei voti di allora. Château Lafite, non Pinco Palla. Ecco le recensioni delle annate 1980, 1982 e 1984.
1980 “Un vino leggero e gradevole di Lafite, il 1980 presenta un aroma moderatamente intenso di ribes nero e tabacco fresco, con sapori morbidi e affascinanti. Un successo per l'annata.”
1982 “Ancora straordinariamente giovane e indietro nella maturazione, questo vino di grande struttura (massiccio per gli standard di Lafite) dovrebbe rivelarsi il miglior Lafite prodotto dopo il 1953 e il 1959. Continua a offrire un bouquet eccezionalmente intenso e avvincente di erbe, ribes nero, vaniglia, grafite e cedro. Il vino mostra tannini considerevoli, nonché un’incredibile e atipica potenza e concentrazione per un Lafite. Tuttavia, la carattetteristica eleganza di questo vino non è stata compromessa nonostante la tendenza dell'annata a produrre vini potenti, densi, succosi e riccamente strutturati. Ricco, pieno e ancora giovane e impenetrabile, questo dovrebbe rivelarsi un Lafite favoloso – ma solo per quei lettori disposti ad aspettare fino al 2003-2005. Dovrebbe facilmente durare per i primi tre decenni del prossimo secolo.”
1984 “La personalità del Lafite emerge nel millesimato 1984. Un bouquet elegante di frutta erbacea e con note di cedro è di prima classe. Il rovere nuovo domina il palato e alcuni tannini duri conferiscono una certa secchezza al finale. Il 1984 è un vino leggero ma ben equilibrato.”
Con queste recensioni, tenendo presente che il vino è Château Lafite, uno dei grandissimi di Bordeaux, che voto vi sareste aspettati dalle riviste o commentatori che vanno per la maggiore? La prima prima parla di un vino superblasonato venuto bene in un’annata non tanto buona. Trattandosi di Lafite, direi 95. La seconda, parla di un vino che sembra sia piaciuto veramente tanto, anche se l’autore adduce quelle che sembrano delle giustificazioni (forse troppe?) e un’avvertenza: il voto si riferisce a come sarà il vino a chi saprà aspettarlo nel nuovo millennio: direi comunque almeno un 99. Dalla terza si capisce che il vino è piaciuto, anche se ha un tannino un po’ secco, ma è sempre Lafite: direi 96. Ebbene, i voti di Parker furono nell’ordine: 84, 100 e 83. Non oso immaginare cosa succederebbe oggi se uno dei commentatori o delle riviste più note valutasse Château Lafite con voti così (a parte il 100 che starebbe nella norma, anche se con un commento meno problematico, più assertivo e pieno di superlativi). A quel tempo tutti noi fummo affascinati da Robert Parker, che con un sistema facile da capire e con parole sicuramente più comprensibili di quanto c’era in giro diventò un punto di riferimento per tutti. A proposito, quella che a lui piacessero soli i vini legnosi e superpotenti è una vera bufala (ma di questo si potrebbe parlare in un’altra occasione).
E il voto di Wine Spectator al Masseto 1988, che ho ritrovato in un quadernetto di una degustazione fatta nel 1999, definito rotondo e vellutato, pieno di frutta, dagli aromi eccellenti di more, cassis e menta, corposo che conferma sul palato le stesse note aromatiche mostrate al naso, dai tannini pieni e vellutati e un finale lungo e mentolato (tra l’altro ottimo vino che ho avuto la fortuna di bere in più occasioni), che con questa nota oggi avrebbe preso almeno 97 o 98, allora era stato uno striminzito 90. Qualcosa di simile, una sorta di inflazione, è avvenuta anche nelle più note guide italiane. Perché a quel tempo i voti da 90 in su non erano la regola, ma l’assoluta eccezione. Cos’è successo in questi anni? Le cose hanno cominciato a cambiare quando i voti hanno dovuto non solo informare il pubblico, ma accontentare “anche” se non “soprattutto” chi ha cominciato a sostenere finanziariamente le guide, ovvero sempre di più gli sponsor (produttori, distributori, consorzi o società di pubbliche relazioni) e sempre di meno i consumatori, i quali nel tempo hanno mostrato una progressiva riluttanza a pagare i contenuti delle stesse. Le guide o le riviste specializzate, per mantenersi, hanno cioè cambiato il cliente (che è diventato sempre di più l’inserzionista), anche se chi deve essere informato è rimasto il consumatore. E per quanto l’integrità possa essere fuori discussione, sicuramente il conflitto di interessi insito nel meccanismo ha favorito uno scivolamento dei voti verso l’alto, che ha finito per influenzare anche i commentatori che dall’aumento dei voti non traggono alcun beneficio, se non quello del quieto vivere (chi è senza peccato scagli la prima pietra). Alcuni recensori hanno adottato modelli a pagamento, senza sponsor, anche se recenti scandali di un paio di anni fa (vedi le rivelazioni di Jason Wilson fatte dalla sua newsletter a pagamento Everyday Drinking, a cui io sono iscritto), hanno dimostrato che anche modelli in cui apparentemente sono solo i consumatori che pagano sono vulnerabili. Oggi la verità è che un 90, almeno per accontentare il produttore e la “pierre” di turno, non si nega a nessuno. Che fare? Partire con furore e iniziare ad abbassare indiscriminatamente i voti di tutti i vini? Rassegnarsi all’idea che alla fine tutti sanno come funziona e a tutti va bene così e quindi fermarsi accettando che non esista realmente un’alternativa a tutto questo? La soluzione non ce l’ho. Posso dire quello che mi riprometto di fare quando chiamato ad esprimere un voto: anzitutto bisogna chiarire bene cosa vuol dire ogni voto (o range di voto), cosa vuol dire “accettabile” (o da 80 a 84)? cosa vuol dire “eccezionale” (o da 95 a 99)? ricordandosi che l’obiettivo è quello di informare chi il vino lo beve e lo deve comprare e non far piacere allo sponsor. Mi aspetto che molti voti a cui ci siamo abituati siano destinati a diminuire. In fondo l’obiettivo è di evitare che chi non l’ha già fatto smetta di dare retta anche ai bravi e corretti commentatori o, peggio, in ultima analisi, di comprare il vino.
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Questo numero contiene:
La videoricetta: Pasta, asparagi, porri e salsiccia
Il ristorante della settimana: Nobuya
Il vino della settimana: Due bianchi dell’Trentino Alto Adige: Sophie e Al+Ma
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La videoricetta: Pasta, asparagi, porri e salsiccia
Porri affettati fini, asparagi a dadini, salsiccia sgranata e crema di parmigiano per una pasta irresistibile, da preparare per la famiglia o per gli amici. Meglio usare una pasta corta come le casarecce o i cavatelli o i maccheroncini. Successo assicurato. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Nobuya, Milano
Siamo a Milano, in via San Nicolao, la viuzza a L che unisce Piazzale Cadorna a Corso Magenta, al 3a. Qui troviamo Nobuya, un ristorante che definirei giapponese di alta cucina. Aperto da poco (circa un anno), il ristorante ha il cognome dello chef, Nimori Nobuya, proprietario del locale insieme all’imprenditore varesino Andrea Lin. Curatissimo nei dettagli, l’ambiente è elegante, dominato dal colore del legno e dal porfido; nella sala principale che dà sulla cucina, travi a vista del soffitto e un imponente lampadario di Murano. Nimori, classe 1973, ha trascorso oltre vent’anni in Italia con esperienze come La Madonnina del Pescatore a Senigallia o Kiyo, Nobu Armani e Sushi B a Milano. Oggi il suo ristorante può essere tranquillamente definito uno dei migliori ristoranti giapponesi in Italia. Conoscenza profonda e qualità della materia prima e tecnica sopraffina che si manifesta con la grande precisione delle preparazioni e, dove richieste, delle cotture millimetriche degli ingredienti, sono la cifra che emerge dalla cucina di uno chef che propone una vasta scelta. Due percorsi Omakase (“a scelta dello chef”) entrambi di otto portate, uno di mare e uno vegetale rispettivamente a 135 o 115 euro, e una scelta alla carta che include una notevole gamma di crudi mare, chirashi sushi e uramaki eseguiti alla perfezione. Tra le le proposte "cotte" di pesce straordinarie l'Anguilla Kabayaki, la Triglia croccante con shiso, salsa al placton e lime e il Black Code, mentre tra i piatti vegetali eccellenti l’Hamburger di zucca con funghi e fondo vegetale al miso e l’Amiyaki di vedure di stagione e tra quelli di carne insieme all’immancabile Wagyu i deliziosi Involtini di coscia di pollo piemontese, funghi misti, tartufo nero e fondo di teriyaki. Di livello la selezione dei vini, curata con competenza. Non mancano i sakè e le birre giapponesi. Segnalo anche due menù a 65 euro, uno di pesce e uno di carne, o una selezione di sashimi e uramaki del giorno a 45 euro disponibili per il lunch. Un indirizzo di Milano che per la sua eccellenza consiglio non solo agli amanti del genere, ma a tutti! Nobuya
Il vino della settimana: Due bianchi dell’Trentino Alto Adige: Sophie e Al+Ma
Sophie è un vino bianco della cantina Manincor, notissima cantina altoatesina situata lungo la Strada del Vino, sul versante occidentale dell’Adige, fra il lago di Caldaro e il paese omonimo. Anche Al+Ma è un vino bianco, uno spumante Trento Doc, metodo classico, prodotto dalla cantina Maso Martis, situata rispetto a Manincor sul versante opposto dell’Adige, salendo di quota a Martignano, poco più a nord di Trento, nel cuore della denominazione Trento Doc. Cosa hanno in comune questi due vini, uno fermo e uno spumantizzato, situati in zone diverse? Sono entrambi dedicati a donne del vino. Sophie è la moglie del conte enologo Michael Goëss-Enzenberg, nobile famiglia tirolese che dal 1978 ha portato avanti la storica cantina Manincor. Al+Ma sono Alessandra e Maddalena Stelzer; che dalla vendemmia 2016 proseguono il lavoro del nonno paterno che nei primi anni ’80 acquistò questo antico maso, Maso Martis, all’ombra del monte Calisio. Thomas Coccolini Haertl ha scritto per la sezione vino di Passione Gourmet un appassionante articolo su questi due vini bianchi e sulle rispettive cantine. Due bianchi dell’Trentino Alto Adige: Sophie e Al+Ma
Buona lettura e buona domenica!
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Un po’ complesso, molto tecnico, forse meno accessibile e lineare degli interventi squisiti cui ci ha abituati, almeno per quanto mi riguarda; ma mi pare a occhio che Lei aiuti a leggere dentro alle logiche di queste guide dai nomi altisonanti, che non ho mai seguito e che mi paiono oggi molto screditate; mi pare che Lei pure ne indichi una certa tendenziosità. Ne concludo che, come sempre in tempi complessi, si perde la fiducia nelle « istituzioni » e ci si concentra sugli individui, i rari che paiono mantenere credibilità. Io la domenica leggo Lei quindi il bilancio mi pare comunque in attivo.
Ah, sì, rispondo: i numeri mi paiono necessari. Si deve pur prendere posizione e farsi capire. Se poi è tutto « 95-100/100 », ciò che si capisce è che i commenti non sono affidabili.