Benvenuti al numero 83 di Orazio Food Experience. Qualche settimana fa è scomparso all’età di 93 anni Aldo Campeol, e due settimane dopo (il funerale è stato celebrato ieri) sua moglie Alba all’età di 92 anni. Aldo era lo storico titolare del ristorante le Beccherie di Treviso, in cui nacque il tiramisù, che sembra sia stato inventato intorno al 1970 proprio dalla moglie Alba insieme allo chef pasticciere Roberto Linguanotto, detto Loly. Il tiramisù è una delle ricette più conosciute della cucina italiana. E’ un geniale dolce al cucchiaio composto da strati di biscotti savoiardi inzuppati nel caffè e farciti con una crema a base di uova, zucchero e mascarpone che viene spolverato con cacao. Sono varie le rivendicazioni che localizzerebbero la nascita del tiramisù anche in Friuli Venezia Giulia o in Piemonte. Roberto Linguanotto, in un'intervista, affermò che la prima ricetta sarebbe derivata dallo "sbatudin", un composto di tuorlo d'uovo sbattuto con lo zucchero, utilizzato comunemente dalle famiglie contadine come ricostituente, a cui venne semplicemente aggiunto del mascarpone. Tra le versioni alternative sull’origine del tiramisù ce n’è anche una secondo cui sarebbe stato ideato dalla maitresse di una casa di piacere ubicata in centro storico a Treviso. La “Siora” padrona del locale avrebbe ideato questo dolce afrodisiaco e corroborante per offrirlo ai suoi clienti alla fine delle serate allo scopo di rinvigorirli e risolvere i problemi connessi ai doveri coniugali al momento del loro rientro in famiglia: si narra che nel locale, quando gli uomini scendevano le scale un po’ provati, la maitresse proponesse questo dolce dicendo loro “desso ve tiro su mi“. Da qui l’origine del nome. Va detto che del tiramisù fino agli anni ’80 non c’è n’è traccia nei ricettari italiani. Per quanto la teoria che il tiramisù sia nato in un bordello sia la più intrigante, lascerei ai compianti Aldo e Alba e al pasticciere Loly il diritto di primogenitura. Non c’è dubbio che si tratti di una ricetta così versatile che si presta a una miriade di varianti. Ne ho presentata anch’io una, molto personale, che include anche l’uso della panna, in un video (vedi newsletter n. 52). Questa domenica quindi: tiramisù.
Oggi la mia videoricetta è dedicata ad un piatto di pesce realizzato attraverso la tecnica della cottura a bassa temperatura sottovuoto, il filetto di merluzzo. Inoltre propongo una zuppa tipca autinnale: la zuppa di farro con porcini e castagne che ho trovato sul sito del Cucchiaio d’Argento.
Questo numero contiene:
La videoricetta: Filetti di merluzzo a bassa temperatura sottovuoto
La ricetta della settimana: Zuppa di farro con porcini e castagne
Il ristorante della settimana: Noma, Copenhagen
Il vino della settimana: Terlaner Rarity e Terlaner I Grande Cuvée a confronto
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo).
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La videoricetta: Filetti di merluzzo a bassa temperatura sottovuoto
Come visto in altre occasioni, la cucina a bassa temperatura è molto adatta per la cottura del pesce. Soprattutto se il pesce è piuttosto spesso e le sue carni molto delicate, come nel caso del filetto di merluzzo, la cucina a bassa temperatura riesce a contemperare la facilità di preparazione con l’eccellenza del risultato vista la tenerezza finale delle carni del pesce e la delicatezza dei sapori. Il filetto di merluzzo a bassa temperatura, aromatizzato con prezzemolo e bucce di limone, è un secondo piatto di pesce leggero, gustoso ed economico, che può essere anche conservato in frigorifero per alcuni giorni. Buona visione!
La ricetta della settimana: Zuppa di farro con porcini e castagne
Un piatto vegetariano, facile da preparare e che possa fare da comfort food per le giornate più fredde dell’autunno? La zuppa di farro con porcini e castagne nella versione che ho trovato sul sito del Cucchiaio d’Argento. Zuppa di farro con porcini e castagne
Noma, Copenhagen
Troverete la prossima settimana la mia recensione (con foto dei piatti) su Passione Gourmet: Noma è stato nominato all’inizio di ottobre primo ristorante al mondo del 2021 per la World’s 50 Best Restaurants. Si tratta del “nuovo” Noma, che qualcuno chiama “Noma 2.0”, inaugurato nel febbraio del 2018 nella città libera di Christiania, celebre quartiere hippy di Copenhagen, all’interno di un ex magazzino per lo stoccaggio delle mine della marina danese. Pur avendo già primeggiato nella 50 Best in quattro occasioni (2010, 2011, 2012 e 2014) è stato ritenuto idoneo per la classifica (che ormai da qualche anno non consente di essere rieletti n.1 se si è già entrati nella “Hall of fame”) a causa di tre cambiamenti chiave rispetto al ristorante originale: la differente location, il nuovo concept e la proprietà. In particolare nel nuovo Noma il menù è rigorosamente stagionale, diviso in tre fasi: di pesce in inverno, vegetariano in estate e di cacciagione e prodotti del bosco in autunno. Ribattezzato dallo stesso chef René Redzepi “fattoria urbana”, dall’esterno sembra una serra: è un complesso formato da sette edifici, con sale dedicate a carne, pesce e cibi fermentati, oltre a una sala da pranzo privata per i dipendenti, che hanno a disposizione anche delle camere. Vi ci lavorano quasi un centinaio di persone per 40 coperti. Molte di queste le vedi quando arrivi, non foss’altro che all’entrata quasi tutta la brigata è lì per darti il benvenuto. Un paio di settimane fa, alla fine di ottobre, ho degustato il menù Selvaggina e foresta, quest’anno a base di renna, anatra, cinghiale, orso, zucca, funghi, castagne, barbabietola gialla e tante erbe. René Redzepi è un impareggiabile maestro nell’utilizzare la flora e fauna dell’autunno danese in una miriade di combinazioni differenti, e in questo menù, in cui il rispetto per la natura incontra l’innovazione culinaria, l’estro creativo e perfino il senso dell’umorismo, lo chef offre il meglio di sé. “Questo menù è la celebrazione dell’abbondanza dell’autunno e della sola stagione in cui la carne gioca un ruolo di protagonista”, era l’annuncio via Instagram. Un menù naturalistico, spettacolare nella presentazione per colori, geometrie e originalità di impiattamento, e straordinario nella decisione dei sapori, esaltati dall’immancabile umami e da consistenze e temperature studiate con millimetrica precisione per una perfetta combinazione tra proteine animali e prodotti vegetali del bosco. Indimenticabili lo spiedino di cinghiale con salsa di castagne, la raggiante bellezza (e il sapore terroso) del sashimi di barbabietola gialla, la perfetta consistenza del petto di alzavola servito con la sua pelle e le interpretazioni della renna che ha iniziato e chiuso il menù con crema di cervello e midollo caramellato. Il servizio è competente, attento e amichevole con un’alternanza di persone di diverse nazionalità provenienti dalla cucina, tra cui un certo numero di italiani. La carta dei vini offre una certa varietà di etichette, spesso poco note, e con preferenza per vini naturali. La carta proponeva un pairing a base di vini e uno a base di succhi e infusi (entrambi al costo di 240 euro), mentre il menu (si tratta di un menù fisso, modificabile solo per eventuali intolleranze) ne costa circa 380. L’esperienza, dal punto di vista culinario, ambientale e del servizio, è straordinaria. Per lo meno io ho mangiato benissimo e sono stato benissimo e, a mio avviso, il ristorante merita il riconoscimento che gli è stato accordato. Prenotare è difficile, soprattutto adesso che tutto il mondo ci vuole andare. Per i fortunati che ci riescono sarà un’esperienza indimenticabile! Noma
Il vino della settimana: Terlaner Rarity e Terlaner I Grande Cuvée a confronto
Fondata da 24 agricoltori altoatesini nel 1893, la Cantina di Terlano si è affermata nel tempo come una delle migliori cantine italiane, tanto che ogni anno i suoi vini sono premiati con diversi riconoscimenti di altissimo livello. Oggi è una cooperativa con oltre 200 soci che comprende una superficie di 240 ettari, il 70% dei quali è coltivato con vitigni a bacca bianca. Il Terlaner è il suo vino storico, un uvaggio prodotto fin dalla sua fondazione, ottenuto da una miscela delle tre varietà più tradizionali coltivate a Terlano, ossia Pinot bianco, Chardonnay e Sauvignon. Si tratta di un vino estremamente strutturato a cui il Pinot bianco – la varietà presente in percentuale maggiore - dona freschezza e una buona acidità, lo Chardonnay conferisce morbidezza e calore, e il Sauvignon Blanc aggiunge le sue raffinate caratteristiche aromatiche. La quintessenza del Terlaner si raggiunge con il Terlano I Grande Cuvée che Rudy Kofler, il notissimo enologo della cantina, descrive così: “Eravamo alla ricerca di una sintesi perfetta, espressione dell’anima più pura della Cantina Terlano. Un vino che rappresentasse pienamente la nostra secolare tradizione, che riunisse in sé l’eccellenza dei nostri migliori vitigni e dei crus più pregiati. La nostra ricerca ha raggiunto il suo scopo: Terlaner I Grande Cuvée”, la cui ultima annata immessa sul mercato è la 2018. D’altra parte, il vino di punta della cantina è il noto Rarità, un vino bianco fatto per sfidare il tempo, che matura per almeno dieci anni sui lieviti fini all’interno di cisterne d’acciaio in pressione, che a seconda delle annate è fatto con il vitigno o la combinazione di vitigni che meglio esprime l’annata. Il Terlaner è stato la base per il Rarità nella sua prima annata, la 1991, e nell’ultima appena uscita, la 2008. Gianluca Montinaro non si è fatto scappare l’occasione e ha messo a confronto per Passione Gourmet il Terlaner I Grande Cuvée 2018 con il Rarità 2008. Terlaner Rarity e Terlaner I Grande Cuvée a confornto.
Buona Domenica!