Benvenuti al numero 125 di Orazio Food Experience e in particolare do il benvenuto a Nico, Giovanna, Alessio e Franco (più quelli con un indirizzo email da cui non riesco a capire il nome), che si sono iscritti durante l’ultima settimana, con un grazie a chi mi ha offerto il caffè via PayPal o Satispay, tra cui Franco che sembra aver optato per l’abbonamento annuale.
Il contenuto di questa newsletter è dedicato a chi ama la carne. Ho tratto alcune informazioni dalla lettura del libro La Scienza della Carne di Dario Bressanini (che ho citato anche in altre occasioni). Se grigli o metti su una piastra ben calda una costata di manzo o un filetto puoi tirar fuori una bistecca profumata, succosa e tenera, mentre con un reale o una guancia il risultato sarà un pezzo di carne duro e secco. In che cosa una lombata è diversa da una costata? D’altro canto, perché un filetto lo puoi mangiare crudo, mentre un cappello del prete no? Perché un brasato al Barolo fatto con la guancia di manzo restituisce un gusto e una tenerezza senza eguali, mentre con la costata il brasato verrebbe secco e insapore? Il motivo è che ci sono differenze nel mix di tessuti contenuti nei diversi tagli di carne. Conoscere queste differenze è essenziale per cucinare le carni a puntino. Un filetto o un roastbeef per essere perfetto basta che abbia raggiunto al centro la temperatura desiderata (che sia al sangue, medio o ben cotto. Avevamo approfondito come cuocere le carni cosiddette pregiate al numero 84 di questa newsletter). Per molti tagli di carne, la maggior parte in realtà, il raggiungimento di una determinata temperatura al centro non è sufficiente. Sono necessarie lunghe cotture perché la carne diventi tenera e succulenta. Perché? Quale magia si nasconde dietro alle lunghe cotture? E su quali tipi di carne funziona?
Come si sa la carne è composta da tre principali elementi: acqua, proteine e grassi. Il resto è costituito da piccole quantità di minerali, carboidrati e vitamine. L’acqua è il componente principale, fino al 75-80%. E’ anche il mezzo attraverso il quale avvengono gran parte delle reazioni chimiche in cottura. La maggior parte dell’acqua risiede nello spazio tra le fibre muscolari (che sono fatte di proteine). Con la cottura quest’acqua viene liberata, e se la carne viene cotta troppo o male diverrà asciutta, in particolar modo quando abbiamo a che fare con cotture brevi come con la piastra o la griglia. Le proteine invece costituiscono il 18-20% della carne. Hanno una struttura “arrotolata”. Quando cuociamo la carne, ovvero aumentiamo la temperatura, dapprima le proteine si “srotolano”, o, per usare il termine scientifico, denaturano. Una volta denaturate, le proteine possono poi muoversi e coagulare tra loro, oppure con il tempo rompersi e sciogliersi. La differenza tra i tipi di proteine che si trovano nelle carni la fa il collagene, il componente principale di quello che in genere è chiamato tessuto connettivo, una proteina che si trova in abbondanza nei muscoli e in particolare nei tagli di carne cosiddetti di seconda scelta. E’ presente nella carne sotto forma di una sorta di corda che tiene uniti i fasci muscolari. Queste “corde” di collagene possono sciogliersi solo a temperature superiori ai 65-70°C circa, e solo in un tempo sufficientemente lungo, in genere superiore alle 3-4 ore. Se non si verificano queste due condizioni, il collagene è immangiabile. Se provi a fare alla piastra dei tagli di carne destinati al bollito combini un bel guaio: il collagene che tiene insieme i fasci muscolari di questi tagli non solo non si scioglie durante i pochi minuti della cottura alla griglia o alla piastra, ma addirittura si contrae, indurendosi. Quando invece cuciniamo un taglio ricco di tessuto connettivo per un tempo sufficientemente lungo, a una temperatura superiore ai 65-70°C, il collagene si scioglie, provocando una serie di effetti positivi. La “corda” di collagene, sciogliendosi, non riesce più a tenere stretti tra loro i fasci muscolari, che quindi si separano tra loro facilmente. Nello sciogliersi, questa corda produrrà un effetto lubrificante, che il palato percepirà come tenerezza. Apro una parentesi. Il collagene non va confuso con i grassi. I grassi presenti nella carne in percentuali molto basse (dall’1 al 5%) sono fondamentali per il gusto: riescono a sciogliere molte molecole responsabili del gusto della carne, molecole che poi durante la masticazione si depositano sulle nostre papille. Per cui una certa quantità di grassi deve essere presente nella carne, al fine di esaltarne i sapori. Quando cuoci alla griglia una bistecca molto marezzata, ovvero con tanto grasso tra le fibre muscolari, questa bistecca risulterà particolarmente tenera. Ma in questo caso l’effetto di tenerezza e succosità è dato non dal collagene che si è sciolto, bensì dai grassi. Una bistecca molto marezzata, infatti, contiene un quantitativo di grassi decisamente più elevato rispetto ad una bistecca meno marezzata. Più grassi, meno proteine. Questo è il prezzo da pagare (non solo economico, ma anche nutrizionale) per ottenere l’effetto “si scioglie in bocca” con una cottura breve: sacrificare una parte nobile – le proteine – a vantaggio di un eccesso di grassi. Ma torniamo al collagene e alle lunghe cotture. I pezzetti della “corda” oltre all’effetto lubrificante hanno una capacità emulsionante: aiutano cioè a mantenere miscelati acqua e grassi impedendone la separazione, garantendo perciò un “sughetto” cremoso e saporito. Durante le cotture lunghe avviene un’altra reazione chimica fondamentale: alcune proteine, con il procedere della cottura, degradano, liberando i singoli amminoacidi che le compongono. L’importanza di questo fenomeno sta nel fatto che, se da un lato le proteine intere sono pressoché insapori, non lo sono affatto gli amminoacidi che le compongono. Una cottura sufficientemente lunga libera una quantità rilevante di amminoacidi, che contribuiscono in maniera marcata al sapore finale. Il glutammato ad esempio, quello che ci hanno fatto credere che ci faceva venire la sindrome cinese, ma che abbiamo scoperto che era una bufala, quello che ha il sapore di umami e che viene aggiunto in tantissimi cibi, ad esempio nel dado da brodo, come “esaltatore di sapidità”, è proprio uno dei composti che si liberano dalla degradazione delle proteine della carne. Se portiamo avanti la cottura troppo velocemente, anche il sapore non sarà ottimale, poiché in un tempo troppo breve non tutte le proteine si degraderanno, limitando la presenza degli amminoacidi “saporiti”. C’è un altro effetto che deriva dallo scioglimento del collagene, e che è probabilmente quello che contribuisce in maniera più importante alla tenerezza della carne dopo una lunga cottura. I “pezzetti” di collagene che si creano dallo scioglimento della “corda”, oltre ad avere capacità emulsionanti, hanno un’altra proprietà importantissima: gelificano. Basta lasciare uno spezzatino, un brasato o anche un semplice brodo di carne, a raffreddare per notarlo. Dopo qualche ora, quando il tutto sarà arrivato a temperatura ambiente, noteremo che il sugo si è solidificato: sono i residui delle catene di collagene che hanno intrappolato l’acqua ed hanno formato una gelatina. Che cosa significa questo per il nostro palato? Vuol dire che quando mastichiamo la carne, questa gelatina presente a livello microscopico tra i fasci muscolari costituisce un vero e proprio lubrificante naturale che rende la masticazione più morbida, più tenera, più soffice. Tra l’altro questa gelatina alimentare fonde intorno ai 35°C, cioè appena al di sotto della nostra temperatura corporea, ed è per questo che, letteralmente, si scioglie in bocca.
Insomma i tagli pregiati di carne pretendono cotture brevi che garantiscono tenerezza e una buona marezzatura per aumentare la sensazione di succulenza. I tagli ricchi di collagene hanno invece bisogno di cotture lente per permettere al collagene di ammorbidirsi, alle fibre muscolari di separarsi, al “sughetto” di arricchirsi di sapore e alla gelatina di sciogliersi in bocca producendo una sensazione di tenerezza sul palato senza eguali.
La videoricetta che vi propongo oggi è la salsa genovese, un grande classico della cucina napoletana a base di carni e cipolle. Grazie alla lunga cottura la cipolle affettate finemente diventano tenere come una crema e i loro liquidi, addensandosi, insieme alle essenze rilasciate dalla carne (ormai sull’effetto delle lunghe cotture sappiamo tutto!), danno luogo a una delle salse più squisite e succulente della cucina italiana. Questo numero contiene:
La videoricetta: La “genovese” napoletana
Il ristorante della settimana: Antica Trattoria del Gallo, Gaggiano (MI)
Il vino della settimana: Le Guaite di Noemi
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La videoricetta: La “genovese” napoletana
A Napoli la “genovese” è un rito. E’ un ragù bianco a base di carne e moltissime cipolle, ottimo per condire la pasta. Sull’origine del nome ci sono varie versioni. La più accreditata lo fa risalire a una salsa a base di carne e cipolle preparata anticamente nelle bettole del porto di Napoli da cuochi di origine genovese. La più fantasiosa attribuisce il nome a un cuoco, sempre del porto di Napoli, famoso oltre che per la sua squisita salsa, per la sua parsimonia e per questo chiamato “o genovese”. E’ un piatto semplice, ma che esige una lunga cottura per consentire alle cipolle tagliate finemente di trasformarsi in una crema e alla carne di rilasciare tutte le sue essenze. Le cipolle più adatte, secondo la tradizione, sarebbero quelle ramate di Montoro, ma vanno bene anche le cipolle gialle, mentre non sarebbero adatte quelle bianche o rosse. Sui tagli di carne da utilizzare esistono varie versioni. Io ho utilizzato vitello, manzo e maiale. Il video mostra tutti i passaggi necessari per preparare una vera genovese con cui ho condito degli ziti. Piatto veramente straordinario. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Antica Trattoria del Gallo, Gaggiano (MI)
Siamo a Gaggiano, alle porte di Milano, in via Privata Gerli, 3 sul Naviglio Grande. L’Antica Trattoria del Gallo è antica per davvero. L’insegna in ferro rosso che troneggia sulla porta di ingresso ci dice che risale al 1870. La gestisce dal 1990 Paolo Reina, che l’ha rilevata dalla famiglia Gerli, che a sua volta l’aveva gestita per tre generazioni. Ci sono tornato qualche giorno fa con amici e mi ha subito colpito l’accoglienza da manuale fatta di massima disponibilità, cortesia e sorrisi genuini, nonostante fossimo gli ultimi avventori arrivati un po’ tardi. Paolo Reina propone una cucina di territorio, con specialità che fanno parte della grande tradizione gastronomica lombarda, senza fronzoli, materica, con selezione accurata della materia prima. I piatti sono golosi e impeccabili. Chiaro l’amore per il vino che lo ha portato a realizzare una carta molto ben fornita e dai ricarichi onesti. Mancando da un po’ di tempo non ho potuto fare a meno di ordinare gli imperdibili Ravioli di vitello al burro versato e il mitico Pollo alla diavola. Certo che il Cotechino con lenticchie, il Pastrami di lingua con senape e cipolla rossa candita, il Riso al salto, fonduta di reggiano e ragù bianco di vitello, il “Falso d’autore”: Lasagna classica alla bolognese trattoria da Amerigo 1934, il Coniglio nostrano ripieno, cipolla dolce e olive taggiasche e il Rognoncino di vitello rosato con spinaci e sesamo, solo per citare alcuni piatti che già conoscevo e alcuni nuovi, ho dovuto rimandarli alle prossime volte. E’ il classico posto dove se ci sei stato una volta ci vuoi tornare. Antica Trattoria del Gallo, Gaggiano
Le Guaite di Noemi
Le Guaite di Noemi è un’azienda agricola della Valpolicella fondata da Stefano Pizzighella che nel 1987decide di acquistare un piccolo frantoio per avviare la produzione dell’olio, sfruttando alcuni ettari di uliveto di famiglia posti sulle colline del piccolo comune di Mezzane di Sotto. Dopo qualche anno, la famiglia continua ad investire sul territorio e pianta la vite nella parte più alta delle colline, chiamata Le Guaite. Nel 2002, quando i vigneti cominciano ad essere produttivi, l’azienda vitivinicola Le Guaite inizia finalmente la vinificazione dei vini tipici della Valpolicella. In occasione del ventennale dalla produzione del primo vino l’azienda ha organizzato una degustazione verticale di Valpolicella Superiore e di Amarone che Angelo Sabbadin ha raccontato nella sezione vino di Passione Gourmet. Le Guaite di Noemi
Buona domenica!
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