Benvenuti al numero 84 di Orazio Food Experience. A che temperatura si cucina la carne? E’ una domanda che mi viene posta spesso e che meriterebbe una serie di puntate. Oggi parliamo della carne di manzo e in particolare della bistecca di manzo. Per le bistecche si utilizzano i tagli pregiati del manzo come filetto, controfiletto e costate, tutti tagli magri, che hanno poco collagene (o tessuto connettivo). Quando parlo di bistecche intendo quelle spesse, da 2 centimetri in su, quelle dove ci chiedono a che livello di cottura vogliamo la carne. Quanto dico di seguito non vale per le “fettine” mentre vale quando queste carni si usano per fare arrosti. Le temperature di cottura, che si intendono misurate nella parte più fredda, cioè al centro, sono le seguenti (le informazioni circa quello che avviene da un punto di vista chimico all’interno della bistecca sono tratte da un libro di Dario Bressanini, La Scienza della Carne):
quasi cruda: 42-47 gradi: la carne è rossa, praticamente cruda, tenera e piuttosto elastica.
al sangue: 48-52 gradi: la miosina, una proteina della carne, comincia a coagulare, l’acqua comincia a scorrere tra le fibre. A questa temperatura la carne risulta succosa. La mioglobina, altra proteina, responsabile del colore, è ancora stabile, la carne è ancora rossa, anche se cambia di tonalità.
media al sangue 53-56 gradi: la miosina è tutta coagulata, la carne diventa rosso chiaro. Questo è il punto in cui la mio avviso la carne è più succosa e più tenera. E’ la mia temperatura preferita.
media 57-62 gradi: la mioglobina comincia a denaturare, insieme ad altre proteine. L’acqua è libera di scorrere tra le fibre, occupando lo spazio lasciato libero dalle proteine coagulate. Il collagene comincia a contrarsi comprimendo le fibre e l’acqua comincia a essere espulsa. La carne è ancora tenera e piuttosto succosa, ma diventa più ferma e di un colore rosato.
media ben cotta 63-66 gradi: le proteine coagulate non riescono più a trattenere l’acqua. Il collagene si restringe e comprime le fibre che espellono acqua. I succhi fuoriescono e la carne si asciuga. E’ ancora umida e dal colore rosa tendente al grigio-marroncino. La carne non è più tenera. A qualcuno piace così: de gustibus…
ben cotta 67-72 gradi: la mioglobina è quasi tutta denaturata e l’acqua è uscita dalle fibre. La carne è grigio-marrone con lievi sfumature rosa. Al tatto è piuttosto dura e quasi asciutta. Ben cotta per me significa stracotta, ma so che qualcuno la vuole così: no comment!
disastro totale: oltre 72: la carne è dura, asciutta e praticamente immangiabile. La classica suola da scarpe.
Per essere sicuri di raggiungere le temperatura voluta, vale la pena di dotarsi di un termometro col quale misurare la temperatura al centro (vi ho dato tutti i dettagli sui termometri lo scorso anno in Orazio Food Experience #37).
Sempre per la bistecca io non riesco a fare a meno della crosticina, che si ottiene facendo rosolare la carne. Normalmente questa operazione la si fa all’inizio. Per farla bene conviene ricordare le seguenti regole: tirare fuori la carne dal frigo almeno mezz’ora prima di cucinarla, per fare in modo che la temperatura al centro approssimi la temperatura ambiente (e non quella del frigo, che costringerebbe a una cottura prolungata con conseguente ispessimento della parte grigia sotto la crosticina: più largo il grigio, meno bravo il cuoco). Asciugare bene la carne e salarla prima di metterla in padella e accertarsi che la padella o la bistecchiera sia ad almeno 140 gradi (è a quella temperatura che si avvia la cosiddetta reazione di Maillard, sotto è tempo perso). Basta meno di un minuto per parte per le due parti ampie e circa mezzo minuto per le parti strette (gli spessori). Poi per raggiungere la temperatura voluta al centro, io uso il forno ben caldo (ad almeno 200 gradi). Qualcuno adotta una tecnica opposta. Prima scalda la bistecca in forno in modo che al centro raggiunga la temperatura voluta e poi fa la rosolatura (reverse searing). Altri non usano il forno e cercano di finire la cottura in padella. In questo caso una buona tecnica è quella di abbassare il fuoco dopo l’iniziale rosolatura e aggiungere grasso (normalmente burro) con cui irrorare in continuazione la bistecca in modo da accelerare il raggiungimento della temperatura desiderata al centro. Una volta cotta, far riposare la carne qualche minuto per consentire ai liquidi che sono stati spinti dal calore al centro della bistecca di redistribuirsi al suo interno (se tagliate subito una bistecca senza farla riposare, noterete che uscirà un sacco di liquido quando la tagliate). Consiglio di togliere la carne dal calore quando la temperatura al centro è arrivata 2-3 gradi al di sotto di quella desiderata. Durante il tempo di riposo per far redistribuire i liquidi, la temperatura al centro aumenterà di 2-3 gradi. Direi che come prima puntata è abbastanza.
Oggi la mia videoricetta è dedicata ad un piatto cult della tradizione milanese, l’ossobuco. Inoltre propongo un piatto goloso da fare quando si trovano le cipolline borettane, le cipolline glassate, secondo la ricetta che ho trovato sul sito del Cucchiaio d’Argento.
Questo numero contiene:
La videoricetta: Ossobuco alla milanese
La ricetta della settimana: Cipolline glassate
Il ristorante della settimana: Langosteria Bistrot
Il vino della settimana: Spumanti inglesi: le bollicine della regina
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo).
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La videoricetta: Ossobuco alla milanese
E’ un piatto classico della cucina milanese: l’ossobuco è tradizionalmente mangiato insieme al risotto, anche se nella cucina contemporanea risotto e ossobuco sono ormai piatti separati. L’ossobuco è un taglio di carne che si ottiene dal muscolo posteriore o anteriore o garretto del vitello, ovvero la parte superiore della gamba in corrispondenza della tibia. Gli ossibuchi migliori sono naturalmente quelli tagliati alla metà del muscolo posteriore o anteriore dove l'osso ha una ricca dotazione di midollo e dove è soprattutto proporzionato il rapporto tra carne e tessuto connettivo. E’ proprio la presenza di una buona dose di tessuto connettivo che richiede una lunga cottura perché la carne diventi tenera. E poi c’è il midollo, che sciogliendosi rende la preparazione veramente succulenta. Ma perché si possa parlare di òs büüs a la milanes non può mancare la gremolada a base di buccia di limone, prezzemolo e aglio. Nel video propongo una versione personale, leggermente gourmet, di questa ricetta. Buona visione!
La ricetta della settimana: Cipolline glassate
Non solo solo è facile, ma quella delle cipolline glassate è una ricetta golosa, versatile e di grande soddisfazione. Quando trovo le cipolline borettane mi vengono subito in mente le squisite cipolline glassate, perfette per aperitivo, antipasto, contorno e perfino da servire coi formaggi. Le propongo nella versione che ho trovato sul sito del Cucchiaio d’Argento. Cipolline glassate
Langosteria Bistrot
Siamo a Milano, in zona Porta Genova in via privata Bobbio, 2. La Langosteria Bistrot è il secondo ristorante di pesce aperto da Enrico Bonocore nel 2012 a Milano, dopo la Langosteria (2007), a cui è seguita nel 2016 l’apertura di Langosteria Cafè, nel 2017 di Langosteria a Paraggi, in Liguria, e all’inizio di settembre 2021 di Langosteria a Parigi, in partnership con Cheval Blanc (gruppo LVMH). La Langosteria Bistrot, soprattutto dopo la ristrutturazione di fine 2018, è un locale chic, piacevole e moderno, che a tratti ricorda un bistrot parigino, ma con un tocco di eleganza in più. Si viene accolti dal bancone del cocktail bar prima di accedere alla sala, dove ci sono i tavoli, e allo sterminato bancone del crudo, che dà sulla cucina e dove si può anche mangiare. Dall’anno scorso, poi, attraversando le cucine del ristorante si accede ad una saletta privata che può ospitare fino a otto persone. Sul fronte cucina la linea è ben chiara e ricalca quella della casa: materia prima di eccezionale qualità con preparazioni adatte ad esaltarla, con piatti facilmente comprensibili e golosi. Tra i piatti signature ceviche “clasico” di ricciola con patata americana e mais, pappa al pomodoro e vongole, King Crab alla Catalana, Gazpacho di datterino giallo con scampi arrosto, Toast al tonno, bufala e acciughe, Battuto di scampi con puntarelle, Linguine all’astice blu e Plateau Langosteria di crudo. Fornitissima la carta dei vini, curata da Valentina Bertini, che include grandi etichette italiane e francesi. E’ un locale giusto per ogni occasione, pranzo o cena, da soli o in compagnia. Obbligatorio prenotare con anticipo. Da non perdere! Langosteria Bistrot
Il vino della settimana: Spumanti inglesi: le bollicine della regina
L’Inghilterra non è mai stata particolarmente conosciuta per il vino prodotto localmente. Abbandonata la produzione di vino in concomitanza con la mini-glaciazione della fine del XVI secolo, gran parte dei vigneti inglesi scomparve. Fino a poco tempo fa non si pensava fosse possibile fare vini buoni nel freddo del 50° parallelo, ma sembra proprio che qualcosa stia cambiando. Grazie a condizioni pedoclimatiche particolari l’Inghilterra del sud ha suoli e clima adatti alla produzione di vini spumanti. Le celebri bianche scogliere di Dover infatti non sono altro che un agglomerato di gesso di fossili di belemnite, il noto terreno kimmeridgiano e oxfordiano che costituisce la “craie” della Champagne. “Nel nuovo millennio si è verificata in UK una vera e propria “rivoluzione vinicola”: non più solo semplici vini bianchi senza pretese; oggi gli “sparkling wines” britannici, ottenuti con rifermentazione in bottiglia, hanno conquistato gli onori della cronaca. Sono ben fatti, sono di ottima qualità e cominciano a fare capolino con buoni risultati nei contest internazionali.” Sono parole tratte da un articolo che ho scritto per la sezione Pleasure Assets della rivista We Wealth: Spumanti inglesi: le bollicine della regina.
Buona Domenica!