Benvenuti al numero 130 di Orazio Food Experience e in particolare do il benvenuto a Roberto, Mariarosa, Daniele, Mara, Federica e ancora Roberto (più quelli con un indirizzo email da cui non riesco a capire il nome). Negli ultimi anni, la tecnica della fermentazione è diventata onnipresente nella cucina contemporanea. Da quando gli chef di ogni parte del mondo hanno cominciato a proporre piatti fermentati nei loro menù, l’attenzione attorno a questa tecnica culinaria è aumentata: termini come kombucha, koji, garum e aglio nero, sono di uso comune ormai in tanti menù. Di che si tratta? La fermentazione nasce come metodo di conservazione. Nel passato, quando non esistevano i frigoriferi o le tecniche di pastorizzazione moderne, per conservare un alimento lo si faceva fermentare: di fatto lo si privava dell’ossigeno e lo si lasciava macerare aggiungendo sale (fermentazione lattica), aceto (fermentazione acetica) o sviluppando i suoi fermenti alcolici (fermentazione alcolica). E’ una tecnica millenaria conosciuta fin dal tempo dei Sumeri (che già facevano la birra, alimento che si ottiene attraverso un processo fermentativo). Gli Egizi oltre alla birra facevano il garum (salsa ottenuta dalla fermentazione di interiora di pesce), alimento ricercato anche nell’antica Roma. In Giappone si faceva (e si continua a fare) il katzubushi (pesce fermentato essiccato), in Cina da più di 2000 anni il jiang (un tipo di condimento fermentato, precursore del miso e della salsa di soia, a base di carne, pesce e verdure), di cui era goloso Confucio, che, come riportato nei Dialoghi, mangiava solo cibo accompagnato dal suo jiang. Ma dove questa tecnica si è sviluppata fino a diventare gourmet è stato nei climi estremi, che non permettono di avere ingredienti freschi in molti mesi dell’anno. Non a caso sono stati i giovani, curiosi e creativi interpreti della nuova cucina del Nord Europa (Danimarca, Scandinavia) a sdoganare e rendere le fermentazioni materia di alta cucina. Nel 2018 René Redzepi (chef del Noma di Copenhagen, miglior ristorante al mondo nel 2010, 2011, 2012, 2014 e 2021; ve ne ho parlato nel #83), insieme a David Zilber (responsabile del laboratorio di fermentazione al Noma), pubblica il libro The Noma Guide to Fermentation (esiste anche l’edizione italiana), che ci spiega come fare le fermentazioni a casa propria: frutta e verdura latto-fermentata, kombucha, koji, miso, shoyu, garum, verdura e frutta nera (tipo l’aglio nero) ormai non hanno più segreti.
Il termine “fermentazione” sta ad indicare il processo di conversione dei carboidrati in alcol e anidride carbonica, oppure in acidi organici, attraverso l’azione di batteri, lieviti e muffe. Un procedimento che avviene, però, soltanto in assenza di ossigeno. La fermentazione è un insieme di processi chimici per cui gli enzimi di alcuni microrganismi demoliscono alcune molecole contenute in una determinata sostanza, trasformandola profondamente. Questi enzimi sono delle proteine che si classificano in diverse tipologie proprio a seconda delle molecole su cui agiscono. Ad esempio ci sono degli enzimi che demoliscono le molecole dei grassi trasformando i trigligeridi in glicerolo e acidi grassi: si chiamano “lipasi”. Ce ne sono altri altri che demoliscono le molecole dei carboidrati ridividendoli negli zuccheri di cui sono composti: si chiamano “amilasi”. Come conseguenza del processo di latto-fermentazione, che priva l’alimento di aria, e grazie all’azione del sale, i carboidrati presenti negli alimenti vengono trasformati in acido lattico, la cui acidità è in grado di uccidere i batteri patogeni e di produrre naturalmente fermenti lattici, i cosiddetti batteri buoni, meglio conosciuti come probiotici. Pare che questi cibi fermentati favoriscano la digestione e rinforzino il sistema immunitario, consentendo di prevenire i più comuni disturbi a carico dell’apparato digerente e garantire il corretto funzionamento di tutto l’organismo. Di fatto si tratta di alimenti che aumentano l’apporto probiotico giornaliero a beneficio dell’intestino. In pratica aiutano i batteri buoni presenti nell’intestino a proliferare e a lavorare. Aiutano ad assorbire la vitamina B, indispensabile al nostro organismo per una serie di processi importantissimi, tra cui quelli legati alla digestione, alle funzionalità del fegato e del cervello. Allo stesso modo, la fermentazione casearia abbatte i livelli di zuccheri complessi e di lattosio presenti nei formaggi, nei latticini, e negli altri derivati del latte. Ci sono tanti prodotti della tradizione che magari non conosciamo e che rientrano nella categoria dei fermentati. Più nel dettaglio, se ne possono citare tanti che consumiamo nel quotidiano o di facile reperibilità: yogurt, kefir, Parmigiano e Grana Padano, crauti, sottaceti, miso, tè kombucha, lievito di birra, cioccolato (fave di cacao fermentato), pane a lievitazione naturale, pizza, ortaggi fermentati, birra, vino, i distillati.
La masterclass di domani 7 novembre sarà dedicata ai vini bianchi di Borgogna e quella del 14 novembre sarà un omaggio speciale a un grande Champagne, la Grande Cuvée di Krug. Seguirà la settimana successiva 21 novembre (data da confermare) una masterclass sui grandi vini della Langa (Barolo e Barbaresco) e una il 28 novembre (data da confermare) sui grandi vini di Bordeaux. Per chi volesse essere incluso nella mailing list delle masterclass è sufficiente richiedermelo all’indirizzo: oraziofoodexperience@gmail.com
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Questo numero contiene:
La videoricetta: Spaghetti con le cozze
Il ristorante della settimana: Del Cambio, Torino
Il vino della settimana: Mandrarossa
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La videoricetta: Spaghetti con le cozze
Gli spaghetti con le cozze sono un tradizionale piatto della cucina italiana in cui l’acidità del pomodoro incontra la sapidità marina dell’acqua delle cozze e la dolcezza dei molluschi, il tutto esaltato dal profumo che viene da un’abbondante cascata di prezzemolo tritato. Davvero un gran piatto. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Del Cambio, Torino
Del Cambio è una vera propria istituzione a Torino. Affacciato su Piazza Carignano, una delle più belle e raccolte di Torino, fondato il 5 ottobre 1757 e ristrutturato nel 2014, è condotto da allora dallo chef Matteo Baronetto. Il complesso include la Farmacia, il caffè bistrot, il Bar Cavour, il cocktail bar con cucina, e la Cantina. Il ristorante ha due sale. La meravigliosa Sala Risorgimento e la contemporanea Sala Pistoletto. C’è anche uno chef’s table, di fronte alla cucina, che può ospitare al massimo quattro sedute e dove lo chef può dare sfogo alla sua libertà creativa e stabilire con i fortunati commensali un rapporto verbale ed emozionale oltre che quello culinario. Il menù contiene una proposta alla carta e due menù degustazione: La cucina di Matteo Baronetto in sei momenti e in nove momenti. Matteo Baronetto “propone una cucina creativa, una cucina di personalità con creazioni originali lontane dalle mode, dove i sapori degli ingredienti utilizzati vengono esaltati da preparazioni e abbinamenti insoliti, mai banali, con il risultato di piatti squisiti, equilibrati e gustosi”: scrivevo queste parole nella recensione fatta nel n.3 di questa newsletter due anni e mezzo fa, poco prima del lockdown. Ci sono tornato recentemente e se l’esperienza era stata eccezionale allora, oggi, forse potrei definirla entusiasmante. A quelle parole aggiungerei che Matteo Baronetto propone una cucina essenziale, radicale e sensibile, come lui stesso sottolinea nel suo menù. Una cucina che cambia, basata sulla sua capacità unica di padroneggiare sia gli ingredienti del territorio che quelli espressi dalla biodiversità del nostro Paese. Molti i piatti che valgono il viaggio: Barbabietola frutti rossi, caviale e burro bianco, Nigiri di seppia, ostrica (italiana), cozza e wagyu, Ostrica all’olio alla brace, marzapane e rapa bianca, una commovente interpretazione per eleganza e raffinatezza di gusto del Vitello tonnato, Insalata di mare 1960-2022, Scampi al vapore e passatina di nocciole, Animella, mozzarella e bagnetto rosso di peperoni, Insalata di mare 1960-2022, Gyoza di magro in brodo di cannellini, Rigatoni di patate burro e salvia, Spaghetto di alga nori con civet di capriolo, Cheesecake Del Cambio (credo di averli menzionati quasi tutti). Non aspetterò altri due anni per tornarci. Del Cambio
Il vino della settimana: Mandrarossa
Dopo oltre 20 anni di intensi studi sui terroir, nel 1999 nasce Mandrarossa: espressione di una Sicilia fuori dagli stereotipi, diversa, che innova e sperimenta. Una Sicilia che non ti aspetti. I vini Mandrarossa, marchio di punta della cantina Settesoli, a nord-ovest della Sicilia, a poco più di un’ora di strada dall’aeroporto di Palermo, sono frutto di una continua ricerca e sperimentazione verso l’innovazione. Ce ne parla Erika Mantovan, in un articolo pubblicato di recente nella sezione vino di passione Gourmet: Mandrarossa
Buona domenica!
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