Benvenuti al numero 155 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto ai nuovi iscritti di questa settimana. Qualche tempo fa un noto critico gastronomico americano, mentre condividevo con lui una visita a una trattoria nel piacentino, mi ha fatto notare come in inglese esistano due parole per definire la croccantezza, crispy e crunchy, mentre in italiano solo una, croccante appunto. Se non ho capito male crispy è quando la croccantezza si percepisce con i denti davanti (come per le patatine o i grissini per intendersi) e crunchy è quando la croccantezza la si percepisce con i denti di dietro (una nocciola o un torrone per esempio). C’ero rimasto un po’ male, percependo una sorta di inferiorità della lingua italiana rispetto a quella inglese nel definire una sensazione gastronomica, e con un colpo di reni ho tirato fuori che noi abbiamo l’espressione “al dente” per definire la giusta croccantezza che la pasta deve mantenere prima di diventare molliccia, cioè scotta. La nostra competizione linguistica è finita lì e abbiamo continuato nella nostra cena che alla fine è risultata squisita. Ho ricordato questo aneddoto perché riflettendoci bene noi abbiamo tantissimi termini per definire profumi, aromi e sapori e pochissimi termini per definire le consistenze dei cibi, la loro “testura” (in inglese texture; in latino textura), per prendere a prestito un termine coniato per il mondo dei tessuti (ma ormai sdoganato anche in gastronomia), quasi che per la nostra cultura occidentale in gastronomia la “testura” sia secondaria. E in effetti per definire la croccantezza un solo termine sembra proprio poco. Da un recente illuminante articolo del New York Times (Why Do American Diners Have Such a Limited Palate for Textures?) di Ligaya Mishan (di cui consiglio la lettura integrale) capisco quanto questa mia percezione di limitazione linguistica abbia senso. Pare che in una cultura gastronomica linguisticamente più evoluta - almeno nel definire le sensazioni di gusto -, quella cinese, esistano ben 144 espressioni per definire diverse sensazioni di croccantezza (tipo la nostra “al dente” di cui andiamo così fieri, una sola mannaggia, questi ne hanno 144!): per esempio (traggo direttamente dall’articolo del New York Times) cui nen, che significa croccante, ma tenero, come un asparago in primavera; su song, che si usa per croccante e filante, come un buon rousong (uno snack cinese a base di sfilacci di maiale disidratati); o su ruan, che indica qualcosa di friabile, poi molle, come pasta frolla che si scioglie al tocco. Ma pensate: questo asparago è perfettamente cui nen; mi dispiace, ma questo rousong non è sufficientemente su song; mi raccomando, che la pasta frolla sia perfettamente su ruan. E che dire dei giapponesi? Loro di termini per definire la croccantezza ne hanno addirittura più di 400!!! Hanno scritto persino un paper scientifico, presentato nel 2016 alla International Conference on Knowledge-Based and Intelligent Information and Engineering Systems, perché oltre 400 termini per definire i diversi livelli di croccantezza sono proprio troppi, e ormai nemmeno loro ci si raccapezzano più! Ai giapponesi piacciono i termini onomatopeici: una fetta di pancetta perfettamente rosolata deve fare uno specifico “crac” chiamato kari kari, a differenza ad esempio di shaki shaki (la croccantenza di un morso ad una mela appena raccolta dall’albero), saku saku (una croccantezza attenuata da una ricchezza grassa, come quella di un biscotto al burro o di un chicharrón, cioè cotenne di maiale immerse nell'olio bollente che si espandono come nuvole), gari gari (una croccantezza tipo il ghiaccio, che mette a dura prova la mascella), bari bari (la delicata frantumazione tipica di un cracker di riso), piuttosto che pari pari (la frantumazione ancora più evanescente ottenuta dalle patatine fritte sottilissime): ma voi pensate la precisione di una descrizione tipo: “secondo me questa patatina era più bari bari che pari pari”! Per quanto sia sempre stato attento alla testura, alle consistenze, nella valutazione sia dei cibi sia dei vini, scopro che non è mai abbastanza! A proposito, il temine croccantezza (quando ne hai solo uno è il rischio che si corre) è usato e purtroppo abusato perfino del mondo del vino, notoriamente liquido… Questa domenica direi kari kari a tutti e comunque buona pasta al dente!
Per chi mi segue sul canale YouTube, sono contento di annunciare che da qualche giorno il numero di iscritti ha superato i 20.000 e il numero di visualizzazioni è in continuo aumento. Condividetelo con i vostri amici!
Questo numero contiene:
La videoricetta: Tonnarelli cacio e pepe
Il ristorante della settimana: Osteria Veglio, La Morra (CN)
Il vino della settimana: L’anteprima del Chiaretto di Bardolino 2023
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato.
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La videoricetta: Tonnarelli cacio e pepe
Piatto tipico di Roma, la pasta cacio e pepe è ormai da considerare un gran classico della cucina italiana, anche se forse Roma è ancora il posto in cui lo si può mangiare al meglio. L’avevo proposto in video durante il lockdown (vedi newsletter n. 8), ma ho pensato di riproporlo, anche perché allora gli iscritti al canale erano poco più di 100 e oggi, molti di più. Su consiglio di alcuni amici ho usato i tonnarelli (spaghetti alla chitarra) invece degli spaghetti, e secondo me con i tonnarelli viene meglio. E’ un piatto che molti evitano di preparare a casa perché se non si è pratici la miscela tra acqua di cottura e pecorino invece di formare un’appetitosa cremina o rimane granulosa, o peggio, quando per l’eccessivo calore le proteine del formaggio coagulano, diventa un vero mappazzone. In questo video ripropongo il mio modo di preparare la pasta cacio e pepe usando un sistema che assicura la formazione di una cremina liscia e cremosa anche se non si è molto esperti. Dategli un occhio. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Osteria Veglio, La Morra (CN)
Siamo nel cuore delle Langhe, a La Morra, Frazione Annunziata, 9. L’Osteria Veglio si trova in una vecchia casa in mattoni rossi costruita negli anni Venti che sa tanto di tradizione e di Piemonte. La sala all’interno ha uno stile minimalista, con volte in mattoni e pareti a vista. Il locale inoltre è provvisto di un dehors, usato quando il tempo lo permette, con una bella vista sulle colline circostanti. In cucina il duo composto da Emanuel Marengo e Massimo Corso, entrambi con importanti passate esperienze, propone un’offerta gastronomica giovane, gustosa e avvolgente, ispirata alla tradizione locale, fatta di prodotti freschi e di sapori decisi, in cui convivono piatti della tradizione piemontese con ottime portate di mare. Tra i tipici piatti locali, oltre all’immancabile Vitello tonnato, Fassona battuta al coltello con Parmigiano Reggiano, Cipolla ripiena di salsiccia di Bra con crema di piselli e ovviamente Agnolotti del plin al sugo d’arrosto, nonché una signora Finanziera, mentre per il pesce, oltre a una selezione di crudi e un piatto dedicato al pescato del giorno, Totanetti di Riviera arrostiti e crema di ceci, Chitarrine con moscardini novelli, broccoli e olive e Zuppa di pesce e crostacei. Sul dessert, imperdibile il Bonet. Il servizio è efficiente e cordiale, assicurato da Katharina e Cristina, mogli di Emanuel e Massimo, e la cantina è ricca di referenze che guardano all’Italia, all’estero e ai grandi vini del territorio. Se siete in Langa è da provare. Meglio prenotare con anticipo. Osteria Veglio
Il vino della settimana: L’anteprima del Chiaretto di Bardolino 2023
Il Chiaretto di Bardolino è un vino rosato della sponda veneta del lago di Garda. Il nome fa riferimento alla sua colorazione rosa molto chiara. L’uva di gran lunga più importante nella produzione del Chiaretto di Bardolino è la Corvina Veronese, utilizzata fino al 95% nell’uvaggio, fatta salva una quota minima del 5% di Rondinella. Il 2 e 3 marzo scorsi, presso le sale dell’Hotel Caesius Thermae e Spa Resort di Bardolino, si è svolta la parte dedicata alla stampa dell’edizione 2023 dell’Anteprima del Chiaretto. “Le origini del Chiaretto risalgono all’epoca imperiale romana, quando vennero istituite le province della Gallia Cisalpina, che comprendeva il Lago di Garda, e della Gallia Transalpina, che includeva la Provenza. In entrambe le province, i Romani svilupparono la viticoltura attraverso il modello agricolo della “villa rustica” e l’introduzione degli antichi torchi da vino. L’uso del torchio non prevede un contatto prolungato tra il mosto e le bucce dell’uva (che contengono le sostanze coloranti), per cui i vini prodotti in epoca antica nelle due Gallie erano di colore rosa.” Sono parole tratte dall’interessante articolo che Angelo Sabbadin, che ha partecipato all’Anteprima, ha scritto per la sezione vino di Passione Gourmet insieme alle note di degustazione di una ventina dei vini dell’annata 2022 assaggiati. L’Anteprima del Chiaretto di Bardolino 2023.
Buona domenica!
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