Benvenuti al numero 197 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana!
E’ già da qualche giorno che al mercato sono comparse le fave. Le troveremo fresche fino a giugno-luglio, mentre quelle secche si trovano tutto l’anno. Originarie dell’Asia Minore, da secoli sono ampiamente coltivate per l’alimentazione umana e animale (foraggio). Forse i legumi meno calorici in assoluto (solo 37 calorie in 100 grammi se fresche, 347 calorie se secche), le fave erano considerate il cibo dei poveri per eccellenza grazie alla loro semplice reperibilità. Sono largamente consumate in Puglia, Sicilia, Lazio e Sardegna, anche se il loro consumo non è poi così diffuso nel resto della penisola, forse perché molti non sanno come cucinarle, nonostante esistano ricette tradizionali a base di fave in molte regioni italiane. In effetti si tratta di legumi che in cucina sono particolarmente versatili: possono essere consumate crude, in pinzimonio o insalata, sbollentate sono un gustoso e verdissimo contorno o un condimento per primi piatti (eccellenti con il pecorino), cotte in umido possono essere protagoniste di minestre o vellutate, in purea, sono spesso accompagnate con verdure amarognole e, fritte, sono uno snack perfetto. Se ne dovete spellare tante è sufficiente, dopo averle private del baccello, sbollentarle per pochi secondi. Vedrete che il tegumento (la pellicina che le ricopre) verrà via semplicemente esercitando una leggera pressione. Quanto alle fave secche, sono perfette per fare puree. Ormai si trovano già decorticate e non c’è nemmeno bisogno di lasciarle a mollo (cosa invece necessaria se hanno ancora il tegumento).
Le fave più note sono di produzione spagnola. Tra queste la Muchamiel, valenciana, la più coltivata di tutte; la Granatina da Granada e l’Acquadolce, sivigliana. Tra le italiane ce ne sono alcune considerate pregiate.
Fava larga di Leonforte: siciliana, la fava larga di Leonforte è coltivata per tradizione nell'Ennese (ma ormai anche nelle altre provincie). Tenera e delicata si mangia, oltre che nel macco di fave, con il pecorino in un piatto chiamato favaiana e cipuddetti, che prevede fave, cipollette locali e pecorino, oppure si cucina in padella con cipolle e pancetta, nella frittedda.
Fava di Carpino: pugliese, la fava di Carpino si coltiva nell'omonimo comune in provincia di Foggia. Varietà tardiva, ha una buccia sottile e una polpa dal sapore intenso. Verde al momento della raccolta, diventa color sabbia con il passare del tempo. Per tradizione si cuoce in tegami di terracotta per creare zuppe, minestre e piatti in umido; ma si mangia anche con i primi, insieme a erbe spontanee e verdure selvatiche, con la carne di maiale o in abbinamento alla zucca, alle patate e alla cicoria.
Fava cottora dell’Amerino: umbra, la fava cottora si raccoglie nella zona dell'Armerino, fra Terni, Amelia e Orvieto, chiamata così proprio perché cuoce bene. Dalle dimensioni piccole (non a caso la chiamano anche mezza fava), si raccoglie a luglio, quando la pianta è già secca. Si prepara spesso in padella con pomodoro e cipolla, oppure bollita, in insalata, condita con olio, sale, pepe e fettine di cipolla fresca. Uno dei piatti più celebri con le fave cottore è la "striscia con le fave", ovvero delle fave lesse che vengono condite con il grasso della zona ventrale del maiale, opportunamente sciolto sulla fiamma.
Fava di Ustica: siciliana, da Ustica, a largo di Palermo, una volta prodotto vitale per il territorio. Oggi purtroppo esistono solo piccole coltivazioni, che vengono però tutelate. Si raccoglie a maggio e si mangia sia cruda sia cotta, anche in questo caso nella frittedda a cui qui si aggiunge una generosa dose di finocchietto selvatico, oppure nel macco, con o senza pasta.
Fava di Fratte Rosa: marchigiana, tipica delle colline pesaresi, dove viene coltivata nell'omonimo borgo, la fava di Fratte Rosa si trova in un baccello corto, che dà in media 4 semi, grandi, dolci e succosi. Per tradizione, oltre a esser mangiata cruda o cucinata, con la fava di Fratte Rosa si produce una farina che dà vita a diversi tipi di pasta, fra cui la più famosa, i tacconi, il cui nome deriva probabilmente dalle tipiche strisce di cuoio avanzate dalla rifilatura delle suole delle scarpe con i tacchi. Si cucina anche "alla baggiana" (una minestra di verdure con fave secche sbucciate, bietole, cicorie e agretti), in porchetta, ovvero con pancetta di maiale e finocchio selvatico, oppure con un sugo a base di funghi usato per condire la pasta fresca.
Finora ho usato le fave in due videoricette: pasta, fave e pecorino e malfatti con crema di fave. Nella carbonara vegetariana che vi propongo oggi ci sarebbero state benissimo al posto o in aggiunta a qualcuno delle altre verdure. Se ne avete, usatele e non vi pentirete!
Le fave non solo sono buone, ma fanno bene alla salute. Contengono una buona quantità di ferro, essenziale per il trasporto dell'ossigeno nel sangue e la formazione dei globuli rossi, altri sali minerali, come il fosforo e il rame, e la vitamina B1, nota come tiamina, importante per il corretto funzionamento del sistema nervoso, per il metabolismo e per garantire al nostro corpo l'energia necessaria. Fanno bene anche al cuore e aiutano a ridurre i livelli di colesterolo grazie soprattutto al loro contenuto di fibre. Sono molto digestive, deacidificano il sangue e sono anche diuretiche, tanto che il rene ne apprezza molto l’uso, specie se si soffre di calcolosi renale. Aiutano molto il fegato nella sua azione disintossicante. Ieri ne ho comprati due chili!
A proposito, ieri era il “carbonara day”, e avendo già proposto qualche tempo fa la videoricetta della carbonara classica, oggi la mia videoricetta riguarda una carbonara sì, ma vegetariana
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Questo numero contiene:
La videoricetta: Carbonara vegetariana
Il ristorante della settimana: Antiche Mure Grill&Wine, Capaccio (SA)
Il vino della settimana: Chianti Classico Collection 2024: un secolo di Gallo Nero
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato.
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La videoricetta: Carbonara vegetariana
In occasione del “carbonara day” (ieri, 6 aprile) ho pensato di parlare di carbonara. Questa è una versione un po’ speciale, perché invece del guanciale uso delle verdure e invece del pecorino romano uso un pecorino dolce dal caglio vegetale. Del resto, a dispetto dei talebani della carbonara, che probabilmente ignorano la sua storia, si tratta di una ricetta straordinariamente versatile (secondo il New York Times ne esistono 400 versioni), che nel corso degli ultimi 80 anni (ammesso che sia nata come molti pensano nel 1944, con gli ingredienti della famosa razione K, composta da uova in polvere, pancetta e panna liquida, quando i soldati americani erano in Italia verso la fine della guerra mondiale) è cambiata molte volte. All’inizio c’era la pancetta, non è escluso si usasse la cipolla, le uova erano intere, c’è stato un periodo col burro, è arrivata anche la panna: oggi guai! Quella pubblicata il 6 aprile del 1954 da La Cucina Italiana (vedi articolo di Fabiana Salsi su La Cucina Italiana di qualche giorno fa) aveva perfino l’aglio e il formaggio era “gruviera”. Oggi per chi usasse quella ricetta e la chiamasse carbonara ci sarebbe derisione e chissà, forse, l’arresto, anzi peggio, la gogna mediatica! 😱😂.
La carbonara vegetariana (mi aspetto che qualcuno mi accusi di aver abusato del termine carbonara) la si può fare con tante verdure, usate da sole o in combinazione: zucchine, asparagi, piselli, fagiolini, fave, carciofi. Io per l’occasione ho usato quello che avevo in casa al momento: asparagi, zucchine e piselli. E naturalmente per farla vegetariana “vera” bisogna usare un formaggio con caglio vegetale. Ne ho trovato uno stagionato e buonissimo. Come sempre, nel video trovate tutti i passaggi. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Antiche Mure Grill&Wine, Capaccio (SA)
A Capaccio, a due passi dai templi di Paestum, c’è un caratteristico vicoletto, il cui nome è via Tavernelle, che costeggia la cinta muraria che racchiudeva la storica città di Poseidonia. Qui si concentrano i bar e ristoranti che intrattengono turisti e residenti con spazi all’aperto e musica live, e, al civico 20, in quella che era una vecchia macelleria, ora ristrutturata, troviamo il ristorante Antiche Mura Grill&Wine, un punto di riferimento per i cultori della buona cucina e soprattutto degli amanti della carne bovina di qualità. La specialità del ristorante infatti è rappresentata da un’ampia selezione di carni provenienti da ogni parte del mondo, dai grandi classici italiani come la Chianina, la Marchigiana o la Piemontese, alle internazionali più esclusive, come i black angus della Creekstone Farm in Kansas, la spagnola Rubia Gallega, i bovini Freygaard della Finlandia, la cui alimentazione è integrata con fave di cacao, le carni di razza argentina, la poco conosciuta Umi Uruguay, fino ai famosi Wagyu giapponesi. Carni che Giovanni Monzo, il patron del ristorante, non solo sa selezionare con indubbia competenza, ma anche cucinare alla perfezione. Insieme a un amico ho ordinato una T-bone di black angus della Creekstone Farm, la cui formidabile marezzatura unita ad una cottura al sangue perfetta mi ha lasciato un indelebile ricordo. Oltre ai prodotti del territorio, scelti nel rispetto della stagionalità e della freschezza, e a ottime proposte di pescato provenienti dalla costiera cilentana, il ristorante offre una ricercatissima selezione di salumi e formaggi provenienti da ogni dove. E per chi vuole bere un buon bicchiere la lista dei vini consente di scegliere tra 600 etichette, provenienti dal territorrio, dal resto della penisola, nonchè dall’estero. I ricarichi sono onesti e non mancano bottiglie di pregio ben conservate e con qualche annetto sulle spalle. Per chi si trova da quelle parti il posto è imperdibile. Consigliatissimo! Antiche Mura Grill&Wine
Il vino della settimana: Chianti Classico Collection 2024: un secolo di Gallo Nero
Il 15 e 16 febbraio nel corso della manifestazione Chianti Classico Collection 2024, giunta alla trentunesima edizione, in cui il Consorzio del Chianti Classico ha festeggiato i cento anni dalla sua fondazione, sono state presentate le nuove annate dei vini del Gallo Nero e i suoi produttori. Nel corso delle due giornate è stato possibile incontrare oltre 200 produttori e assaggiare oltre 700 etichette firmate Gallo Nero, Chianti Classico annata, Riserva e Gran Selezione, il Vin Santo del Chianti Classico e l’Olio DOP Chianti Classico. Angelo Sabbadin, che ha partecipato all’evento, ha pubblicato un articolo nella sezione vino di Passione Gourmet in cui ha tra le altre cose incluso le note di degustazione e le valutazione di una quarantina dei vini assaggiati relativi alle annate 2020, 2021 e 2022. Chianti Classico Collection 2024: un secolo di Gallo Nero.
Buona domenica!
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