Benvenuti al numero 216 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! Fino a qualche anno fa era tradizione nella mia famiglia a fine estate fare la passata di pomodoro, una tradizione in molte regioni d’Italia, soprattutto Puglia, Campania, Sicilia, Calabria, Lazio, Toscana e Abruzzo (ma in realtà in quasi ogni angolo del nostro paese c’è chi in questi giorni fa la “propria” passata). Mi ricordo benissimo quando ero bambino che a fine estate si trascorrevano un paio di giorni nella campagna della nonna e i miei genitori, nonni e zii, procedevano a quello che era un vero e proprio rito, in fondo una festa di famiglia. I pomodori, alcuni quintali, erano stati raccolti qualche giorno prima, solo quelli maturi al punto giusto, messi a riposare per qualche giorno su delle tovaglie che ricoprivano ogni spazio disponibile. All’alba c’era la fase del lavaggio dei pomodori che avveniva in un’enorme vasca. Poi nonna, mamma e zie preparavano i pomodori prima di passarli: ogni pomodoro veniva tagliato in due o in quattro a seconda della sua grandezza, privato con movimenti precisi e velocissimi della parte bianca legnosa, dei semi e di eventuali ammaccature e buttati in grandi pentole che, quando piene, venivano messe sul fuoco finché la massa di pomodori si ammollava, perdendo parte della propria acqua, e cominciava il bollore. A questo punto i pomodori, pronti per essere passati, venivano trasferiti in una bacinella, mentre l’acqua che rimaneva nella pentola veniva filtrata e messa da parte. Dalla bacinella la nonna attingeva mestoloni di pomodori ammollati che venivano immessi nel grande imbuto della macchina spremipomodori (sempre la stessa, che io mi ricordi), azionata a mano a turno da qualcuno degli zii o da mio papà. Qualche volta, anche se per pochi secondi, la manovella veniva affidata anche a me (era un momento che aspettavo sempre con ansia). Mi ricordo che lo scarto determinato dai pochi semi rimasti e dalle bucce veniva sempre ripassato almeno due volte: il commento ricorrente era che la passata che si ricava dallo “scarto” è quella migliore. Il succo di pomodoro passato finiva in un grosso recipiente in cui era infilata una cesta di vimini ricoperta da una tovaglia bianca che aveva lo scopo di concentrare ulteriormente la passata, la gran parte della quale tuttavia restava in superficie, mentre una piccola parte di acqua filtrava dalla tovaglia depositandosi sul fondo del recipiente. Anche questa “acqua” veniva messa da parte. Il succo di pomodoro si metteva velocemente con degli imbuti in barattoli o in bottiglie (precentemente sterilizzate attraverso bollitura in acqua, in bidoni che sarebbero successivamente serviti per bollire gli stessi barattoli e bottiglie, una volta riempiti di salsa). Quando una bottiglia o un barattolo erano pieni, in ciascuno si mettevano un paio di foglie di basilico e un filo di olio EVO. I barattoli avevano il tappo a vite, mentre le bottiglie erano rappresentate o da bottiglie da birra, che si tappavano con il tappo a corona, o da bottiglie da vino, che si tappavano con tappo di sughero. A quelle tappate col sughero veniva applicata una specie di gabbietta, tipo quella degli spumanti, ma fatta con dello spago (per essere sicuri che le bottiglie non si aprissero durante l’operazione di cottura per creare il sottovuoto). Vedere tappare le bottiglie con una tappatrice rudimentale e assicurare il tappo con la legatura a mano era uno spettacolo. Parte della festa erano enormi quantità di focaccia, prosciutto e formaggio (tutti di produzione familiare) mangiati durante tutto il giorno, quantità inenarrabili di cocomero, birra e vino a volontà (questi ultimi, ahimé, a me vietati). I barattoli e le bottiglie, avvolti in strofinacci, venivano infine messi negli stessi bidoni usati per sterilizzarli, riempiti nuovamente di acqua e messi a bollire sul fuoco per un paio d’ore. Nel frattempo, usando una parte dell’acqua di pomodoro conservata, si bolliva la pasta, che veniva servita condita con della passata avanzata dall’anno precedente. Ogni tanto si sentiva un botto, accompagnato da qualche sgradevole commento, segno che una bottiglia si era rotta: “te l’avevo detto che le bottiglie di birra non reggono” (questa è la parte del commento che può essere riferita). Spento il fuoco, si doveva aspettare il giorno successivo per recuperare barattoli e bottiglie da suddividerle tra tutti. Da ogni 100 kg di pomodori si ricavavano 40-45 kg di salsa. Parliamo di oltre 50 anni fa. Oggi la maggior parte delle famiglie usa la passata industriale: ce ne sono di buonissime, anche se non è la stessa cosa. Io ho provato a mantenere la tradizione nella mia età adulta e ogni anno mi faccio la mia passata di pomodoro, anche se magari in più lotti e non tutta insieme. Martedì sarò a Milano. Ho già programmato la ricerca di pomodori adatti a completare la dotazione di passata per quest’anno (ho già fatto qualche barattolo agli inizi di agosto).. Negli anni scorsi, come ricorderanno i lettori di lunga data, ho pubblicato un paio di video sull’argomento. Uno in cui al posto della macchina spremipomodoro uso un estrattore (ottima soluzione se si devono preparare quantitativi limitati), l’altro in cui uso una macchinetta a manovella e in cui faccio una passata lievemente condita (ho anche la macchina elettrica). Il mio pomodoro preferito per fare la salsa è il ciliegino siciliano. Normalmente faccio metà dei barattoli solo a base di ciliegino siciliano e l’altra metà con un blend di ciliegino siciliano (tra cui si distingue il pomodoro ciliegino di Pachino), pizzutello (tra cui si distingue il Piennolo del Vesuvio) e San Marzano. A proposito, per chi vuole sapere tutto sul pomodoro, rimando alla mia newsletter n. 162.
Se ti è piaciuto questo post, fammelo sapere usando il cuoricino per i like!
Questo numero contiene:
La videoricetta: Rollé di zucchine con prosciutto e ricotta
Il ristorante della settimana: Quintonil, Città del Messico
Il vino della settimana: Emidio Pepe: grandi vini da 60 anni
Se vi piacciono gli argomenti che tratto, aiutatemi a diffondere questa newsletter! Pensate a un amico buongustaio o un’amica buongustaia e usate questo pulsante rosso qui sotto per condividerla, è gratis:
Se vi occorre qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo), o, in mancanza, troverete comunque il modello dell’attrezzo utilizzato. Acquistare da questi link è un modo per sostenere il lavoro che sta dietro ai video.
La videoricetta: Rollé di zucchine con prosciutto e ricotta
E’ un piatto sfizioso a base di zucchine grattugiate. L’impasto è quello di una frittata, che però viene cucinato al forno, rendendo la base del rotolo particolarmente leggera. Farcito con prosciutto cotto e ricotta il rotolo diventa irresistibile. Piatto freddo che può fare da secondo o anche da antipasto. Da provare! Buona visione!
Il ristorante della settimana: Quintonil, Città del Messico
Siamo a Città del Messico, in Newton, 55, nel centralissimo ed elegante quartiere di Polanco. Qui troviamo Quintonil, due stelle Michelin e n. 7 nella classifica The World's 50 Best Restaurants 2024, oggi considerato uno dei migliori, se non il migliore, ristorante del Messico. Ho deciso di visitarlo, anche perché incuriosito dal fatto che Città del Messico ha piazzato ben tre ristoranti tra i primi ‘50 della 50 Best (gli altri due sono Pujol, che ho visitato, e Rosetta). Lo chef è Jorge Vallejo, che a mio avviso ha fatto molto di più di quanto lui afferma, ovvero di aver dato alla tradizionale cucina messicana un “tocco personale”, avendo invece il merito di aver spinto la tradizionale cucina messicana al limite evidenziandone le incredibili potenzialità (almeno a giudicare dalla quindicina di ristoranti che ho visitato) vista l’infinità di ingredienti top a disposizione, provenienti dalle ricchissime flora (molti ingredienti tra l’altro vengono dall’orto adiacente al ristorante) e fauna. E questo senza aver assaggiato il menu a base di insetti (gli unici insetti che mi sono concesso, in almeno tre occasioni, sono i cosiddetti escamoles, larve di formica, squisite, servite con granchi senza guscio, tipo le nostre moeche, un piatto da sballo) che ha reso famoso lo chef, ma avendo preferito il menu classico, comunque straordinario a base di vegetali, carni e pesci. Tra presentazioni molto curate, degni di segnalazione il Granchio reale in salsa di pipian verde con semi di girasole, lime makrut e basilico thailandese, il Tonno rosso all’acqua di brassica al peperoncino, radice di anguria in agrodolce, erbe estive e polvere ghiacciata di wasabi, o il Tamal di anatra pibil (anatra cotta. sottoterra inserita all’interno di una sorta di raviolo di mais) servito su una foglia di banana ricoperto con crema di mais. Un posto sobrio, con cucina a vista, con un servizio molto gradevole, assicurato dalla moglie dello chef Alejandra Flores. Non facile da prenotare, ma ne vale la pena. Menù degustazione da 190 a 210 euro. Alti i prezzi dei vini a causa di tasse e accise. Quintonil
Il vino della settimana: Emidio Pepe: grandi vini da 60 anni
La storia della cantina Emidio Pepe comincia nel 1964, quando il giovane Emidio - dopo aver affiancato suo padre e, prima ancora suo nonno, che produceva vino per casa dal 1899 - fonda la sua azienda, sotto il nome di Aurora. Il luogo è Torano Nuovo, piccolo paese all’interno della DOCG Colline Teramane, a dieci chilometri in linea d’aria dal Mar Adriatico e a venti dal Gran Sasso, dove l’incontro tra clima marino e montano assicura ventilazione e grande escursione termca e suoli argillosi-calcarei garantiscono alle radici la capacità di penetrare in profondità. All’epoca, Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo erano considerati “vini da taglio” o da bersi giovani. Emidio, invece, fin da subito intravede per questi vitigni grandi potenzialità di invecchiamento e inizia a produrre vini adottando un’approccio biodinamico ante litteram, vini che presto attirano l’attenzione e oggi sono riconosciuti come grandi in tutto il mondo. In occasione del compimento dei 60 anni dalla fondazione della cantina, potendo scegliere tra ben 40 annate ancora disponibili presso l’azienda, è stata organizzata una masterclass nel tristellato ristorante Da Vittorio a Brusaporto in cui sono state selezionate e proposte 4 annate di Montepulciano d’Abruzzo, dalla più recente del 2010 alla più invecchiata del 1979 passando per la 2007 e la 1993, e 2 annate del Trebbiano d’Abruzzo, la “fresca” 2013 e la 2004. All’evento ha partecipato Elio Ghisalberti, che ne ha tratto un articolo recentemente pubblicato nella sezione vino di Passione Gourmet. Emidio Pepe: grandi vini da 60 anni.
Buona lettura e buona domenica!
* * *
Questa newsletter è gratuita, ma se volete offrirmi uno dei caffè che consumo per scriverla potete farlo via PayPal, usando questo link Orazio Food Experience su PayPal e selezionando “invia denaro ad amici”.
Per fare la stessa cosa via Satispay, ecco il QR Code da inquadrare.
una mail bellissima, grazie!
Post meraviglioso! Anche noi facevamo la passata di pomodoro grossomodo come hai descritto, hai tratteggiato un ricordo vivido e dettagliato, complimenti. Sarebbe bello poter reperire a Milano (a prezzi ragionevoli) dei pomodori adatti alla passata, per produrre piccole quantità senza dover fare una trasferta apposita al sud. Posso chiederti tu come ti organizzi? Io sono sempre alla ricerca di fornitori (soprattutto per verdure e ortaggi) che offrano qualità e varietà, per cui approfitto per chiederti un consiglio. Grazie mille!