Benvenuti al numero 250 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! L’espresso è un rito nazionale, ma troppo spesso assomiglia a una punizione. Tra capsule tristi e bar che servono acqua bollente che sa di gomma bruciata, io, che tra l’altro lo bevo senza zucchero, avevo quasi smesso di berlo. Poi mi sono chiesto: davvero ci dobbiamo accontentare? Meglio cercare di capirci qualcosa in più. Perché dietro quei 25 ml c’è un mondo fatto di chicchi, pressione e mani esperte. E allora ecco una guida per chi cerca di bere il caffè con gusto. Anche solo per riconoscere quando è meglio ordinare… un bicchier d’acqua. Ma prima il consueto consiglio per gli acquisti (che è anche un modo per sostenere questa newsletter). Grazie a chi ha già acquistato il mio videocorso “La mia cucina sottovuoto a bassa temperatura” e per le eccellenti recensioni che alcuni di voi hanno scritto. Per acquistarlo basta accedere alla home page del corso attraverso il bottone qui sotto:
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Cos’è davvero un espresso
L’espresso è uno dei metodi di estrazione del caffè più rapidi e intensi, ma anche tra i più fraintesi. Non è “un caffè corto”, né una varietà: è un metodo. Si ottiene facendo passare acqua a 9 bar di pressione attraverso 7-9 grammi di caffè finemente macinato, per 20–30 secondi. Il risultato è una tazzina da circa 25 ml, densa, aromatica, coperta da una crema color nocciola. Caffè con la moka, caffè da caffettiera napoletana, caffè turco, caffè da french press o caffè filtro da Chemex sono un’altra cosa, anche se possono avere in comune la materia prima. L’espresso è anche un gesto culturale, nato in Italia, fatto di intensità e velocità, capace di concentrare tutto l’aroma del caffè in pochi secondi. La crema è la firma visiva dell’espresso. Si forma grazie alla CO₂, agli oli e alle sostanze emulsionate durante l’estrazione. Ma attenzione: non deve essere troppo scura o spessa, o pallida o assente, o, peggio, artificiale, come quella prodotta dalle capsule, visivamente simile ma priva di vera aromaticità.
La crema conta, ma non è tutto: è l’armonia tra corpo, aroma e persistenza a fare il vero espresso.
La vera storia dell’espresso
L’espresso è il frutto di oltre un secolo di evoluzione tecnica e culturale. Alla fine dell’Ottocento, fare il caffè richiedeva tempo: filtraggio e bollitura non erano adatti ai ritmi moderni. La prima idea di una macchina in grado di preparare rapidamente il caffè arriva da Angelo Moriondo, che nel 1884 brevettò a Torino una macchina a vapore per l’infusione veloce del caffè. Nel 1901, Luigi Bezzera, milanese, brevettò una macchina a vapore per preparare il caffè “espresso”, ovvero su richiesta. Ma il vero salto avvenne nel 1947 con Achille Gaggia, ingegnere dalla provincia di Belluno, che introdusse la leva a molla: finalmente si raggiunsero le 9 atmosfere di pressione e nacquero la crema e il vero caffè espresso. Negli anni ’50 e ’60 il bar italiano diventa un’icona: banco, macchina cromata e rituale rapido. Marchi come Faema, Rancilio e La Marzocco esportano lo stile espresso nel mondo. Oggi le macchine per espresso, evolute, ma fedeli ai principi originali, offrono un controllo sempre più preciso su temperatura, pressione e tempi, permettendo di esprimere al meglio ogni caffè espresso.
Le materie prime dell’espresso
Un grande espresso nasce però dal caffè, non dalla macchina. Le varietà botaniche, l’origine, la tostatura e la miscela influenzano profondamente il gusto in tazza. Le due specie principali sono Arabica e Robusta. Ecco di seguito un riepilogo delle loro caratteristiche:
In tazza: l’Arabica dona eleganza, complessità, finezza. La Robusta aggiunge corpo, crema e una nota amara e cioccolatosa. Anche l’origine lascia il suo segno: Etiopia (floreale), Colombia (equilibrio), Brasile (cioccolato), India (spezia). Tutto parte dal chicco. Una miscela unisce caffè di diverse origini per bilanciare profilo e resa. Le monorigini, invece, offrono identità più marcate anche se risultano meno costanti.
La tostatura è cruciale: quella chiara produce aromi fruttati è più acidità, quella media equilibrio e dolcezza e quella scura corpo pieno e note tostate. La tostatura media o medio-scura è la più versatile e coerente con il profilo aromatico e strutturale che ci si aspetta da un buon espresso.
I parametri ideali dell’espresso
Un espresso ben fatto nasce dall’equilibrio di pochi parametri chiave:
Dose: 7–9 g (singolo), 14–18 g (doppio)
Acqua in uscita: ~25 ml (singolo), 40–50 ml (doppio)
Tempo: 25–30 secondi
Pressione: 9 bar
Temperatura: 90–96 °C
Il caffè va macinato fresco, dosato con precisione, distribuito bene e pressato (tamping) con decisione. Il portafiltro deve essere pulito, la macchina calda. Il flusso deve essere continuo e vellutato. Un buon espresso ha crema compatta, aroma intenso, corpo setoso e un retrogusto persistente:
Se esce troppo veloce → macinatura grossa o tamping debole.
Se esce a fatica → macinatura troppo fine o dose alta.
Crema pallida o gusto amaro? Caffè vecchio, pressione bassa o acqua sbagliata.
La chiave è la costanza. Ogni estrazione è una prova: se cambia, qualcosa non va.
Espresso da caffè macinato vs. capsule
Negli ultimi anni, le capsule hanno conquistato le cucine e gli uffici. Promettono espresso “perfetto” con un solo gesto. In questo post ho deciso di non parlare del caffé fatto a casa. Ne parlerò in un post separato. Ma in tema di espresso non posso astenermi dal citare le capsule. Non amo, anzi, non sopporto il caffè da capsula. Per molti appassionati, e io sono tra questi, il vero espresso non è compatibile con quello della capsula. E non solo per ragioni romantiche. Proviamo a confrontare i due caffè:
Le capsule contengono caffè pre-macinato e pre-dosato, spesso tostato scuro per reggere meglio l’invecchiamento e mascherare la bassa qualità aromatica. In alcuni casi viene addizionato con additivi per facilitare la formazione della crema. Anche le migliori capsule non possono offrire l’aromaticità dinamica di un caffè appena macinato. E poi c’è la questione dell’acqua: molte macchine a capsule non raggiungono le temperature e pressioni ideali, risultando in bevande che assomigliano a un espresso, ma non lo sono tecnicamente. Chi beve espresso da una vita fatica a trovare soddisfazione in una capsula. L’espresso fatto con caffè macinato è più impegnativo, ma infinitamente più ricco, vero, personale. Non è solo questione di gusto: il suono della macina, il profumo, il rituale. La differenza è quella di un piatto cucinato da zero rispetto a un piatto pronto riscaldato. Non c’è paragone.
Le capsule hanno semplificato, ma anche appiattito. Il caffè da capsula, che tra parentesi ho preso per anni, mi aveva progressivamente allontanato dal caffè. Da qualche tempo mi sono abituato di nuovo alla complessità del vero caffè: tornare indietro diventa impossibile.
Insomma se siamo onesti: le capsule sono comode, ma non buone. Per alcuni, va benissimo così. Per altri, è inaccettabile. Se sei arrivato a leggere fino a qui, probabilmente fai parte della seconda categoria.
Come individuare un buon bar per l’espresso
Torniamo quindi ai nostri bar. Purtroppo, almeno per quanto riguarda la qualità dell’espresso, non tutti i bar sono uguali. Riconoscere un bar che tratta l’espresso con rispetto è un’arte fatta di dettagli. Cominciamo con cosa guardare e annusare prima di ordinare.
Odore nell’aria. Profumo di caffè fresco: bene. Puzza di bruciato o stantio: male.
Macchina e banco. Devono essere puliti. La macchina deve essere lucida, i beccucci senza incrostazioni. I portafiltri devono stare al loro posto, non appoggiati sul banco. La lancia vapore deve essere pulita.
Macinatura al momento. Se il bar usa un macinacaffè “on demand”, ottimo. Se ha un dosatore pieno di macinato vecchio o usa cialde: meglio evitare.
Il barista lavora con cura? Nei bar normali non si pesa la dose, ma si nota se c’è precisione e costanza nei gesti. L’esperienza conta più della bilancia. Solo a Napoli ho sentito dire a uno dei baristi: “O ccaffè ’o piglio sulo si me ’o faie tu”.
Tazzina. Le tazzine tenute sopra la macchina da espresso, sulla piastra scaldata dalla caldaia sono un buon segno. La tazzina deve essere calda. Non fredda, non bollente (non è una buona pratica scaldare le tazzine nel microonde).
E quando arriva la tazzina:
Crema. Deve essere nocciola, fine, compatta. Se è troppo scura = sovraestrazione; troppo chiara o assente = caffè vecchio o fretta. Se ci metti lo zucchero: bisogna che galleggi per un momento, segno di buona densità.
Aroma e gusto. Complesso, non monotono. Corpo vellutato, gusto equilibrato. Il retrogusto deve essere pulito, non amarissimo, secco o, peggio, di gomma bruciata.
Il bar perfetto forse non esiste, ma quello dove il caffè è buono — eccome se esiste. Basta una miscela fatta bene, i chicchi macinati al momento (o quasi), la macchina pulita e qualcuno che ci metta un po’ di cuore. Un bar così lo riconosci subito. E ci ritorni, volentieri.
Con queste poche informazioni spero almeno di avervi dato un motivo per bere il prossimo espresso con un po’ più di consapevolezza. E magari anche qualche buona scusa per dire, almeno a se stessi, quando un espresso è davvero buono… o quando proprio no. Quasi quasi stamattina esco e vado a cercarne uno fatto come si deve.
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Un altro consiglio per gli acquisti: il mio libro “La mia cucina a bassa temperatura sottovuoto” e si trova su Amazon in versione cartacea oppure digitale. Buona lettura!
Questo numero contiene:
La videoricetta: Punta di petto di vitello sous vide
Il ristorante della settimana: Confine, Milano
Il vino della settimana: Spirito di Dolfo: Brut Nature 2014
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La videoricetta: Punta di petto di vitello sous vide
La punta di petto di vitello è un taglio di carne che si distingue per la sua carne fibrosa che alterna parti di grasso a parti magre. Molto utilizzato in USA, dove si chiama brisket ed è amatissima per la sua bontà quando viene cotta al BBQ, rappresenta l’esame di maturità per dimostrare di essere un vero e proprio grillmaster. In Italia, per quanto meno popolare, si usa per fare ricchi brodi di carne, come pezzo per il bollito, o macinato per fare il ragù. La cottura a bassa temperatura sottovuoto è in grado di farne un eccezionale arrosto. Dopo averlo arrotolato a forma di cilindro è sottoposto a una lunga cottura di 48 ore a 65°C. Buona visione!
Il ristorante della settimana: Confine, Milano
Siamo a Milano, in centro, in piazza Cardinal Massaia, in zona Cinque Vie. Confine, locale aperto circa due anni fa, è indubbiamente la pizzeria del momento a Milano. Aperto e gestito dai due soci di origine salernitana, Francesco Capece alle pizze e Mario Ventura in sala, Confine è una pizzeria sui generis che si fa obiettivamente fatica a definire pizzeria. L’ambiente è quello di un ristorante di livello, lo stesso vale per il servizio, senza parlare della fornitissima cantina. E poi la farcitura delle pizze include tecniche di preparazione da alta cucina e combinazioni insolite di grande impatto visivo e gustativo che escono dai confini della pizzeria normale. Si potrebbe forse parlare di “pizzeria gourmet” visto che le proposte hanno comunque per base la pizza, o semplicemente di un “ristorante che serve pizze gourmet”. Il locale si estende su due livelli. L’ambiente, caratterizzato da uno stile minimalista, è elegante e contemporaneo. Al piano inferiore si trovano una sala e una fornita cantina in cui non mancano, oltre a una ottima selezione di Champagne, vini bianchi e rossi di livello. Al piano di sopra, a fianco del settore dedicato alla cucina, di cui una parte è a vista, ci sono due spaziose sale e un elegante privé.
Oltre alla carta, che include anche una pizza Margherita (12 euro, 18 se con mozzarella di bufala) di livello top (non potevo non provarla), Confine propone tre percorsi degustazione da 4, 5 o 6 portate – si tratta di fette di pizza – rispettivamente a 40, 45 e 50 euro, con la possibilità di un wine pairing dedicato. C’è anche un menu vegetariano. Il menù di sei portate che ho provato includeva tra i vari piatti Semplice non vuol dire facile, una fetta di pizza fritta e ripassata al forno, in cui una leggerissima e squisita pizza fritta viene farcita con antico pomodoro di Napoli, mozzarella di bufala campana DOP, parmigiano reggiano 36 mesi e olio EVO pregiato; Calgyoza, un’interpretazione fantasiosa e molto ben riuscita di una fusione tra calzone e gyoza, in cui una spettacolare e golosissima fetta di calzone realizzata con impasto tradizionale, viene farcita di verza glassata alla soia, verza arrosto, pancia di maiale sous-vide e gambero rosso di Mazara marinato con sale, pepe, limone e glassato con la sua bisque, Zia Maria, una reinterpretazione della pizza tonno e cipolla, in cui una fetta di pizza napoletana viene farcita con crema di porro arrosto, ventresca di torno rosso, fiordilatte, capperi canditi, peperoncino serpentino di Teggiano, aneto in fresco e in olio, paté a base di olive e cucunci e maionese allo yuzu e Umaminara, una fetta di pizza al vapore soffice e leggerissima farcita con San Marzano affumicato, crema d'aglio rosso di nubia, gel di basilico, pasta e colatura di alici, crema di datterino siciliano, polvere di capperi, polvere d'aglio nero ossidato, polvere di olive nere, origano di Salina e olio extravergine di oliva. Gli impasti sono fatti con farine selezionate, le lievitazioni sono perfette e garantiscono eccellente digeribilità, e le cotture sono a regola d’arte. Ci si alza contenti e con la voglia di tornarci. Confine, Milano
Il vino della settimana: Spirito di Dolfo: Brut Nature 2014
L’Azienda Vitivinicola Spirito di Dolfo, guidata da Marko Skočaj, si trova a Ceglo, nel cuore delle Goriška Brda (Collio Sloveno). Fondata da Dolfo Skočaj poco dopo la Prima Guerra Mondiale, l’azienda ha visto una crescita costante grazie alla passione e dedizione della famiglia. Nel 1986, la gestione è passata al nipote Marko, che ha continuato la tradizione familiare, portando innovazione e ampliando la produzione. I vigneti dell’azienda si estendono su 14 ettari, di cui 10 in Slovenia e 4 in Italia, situati tra 80 e 200 metri di altitudine. Tra i vini prodotti, insieme ai bianchi Rebula (Ribolla Gialla), Malvasia, Sauvignon, Chardonnay, Pinot Grigio (Sivi Pinot), Sauvignonasse (Friulano) e ai rossi Cabernet Sauvignon, Merlot Riserva, Pinot Nero, c’è uno spumante, lo Spirito Brut Nature, un blend di Chardonnay e Pinot Nero, un metodo classico che matura sui lieviti per circa 36 mesi prima della sboccatura. Il vino è stato recentemente recensito nella sezione vino di Passione Gourmet. L’articolo contiene anche un video in cui il vino è assaggiato alla cieca e commentato da Eros Teboni, nominato nel 2018 miglior sommelier al mondo, da Leila Salimbeni, direttrice della rivista Spirito di Vino, e dal sottoscritto. Ecco il link: Spirito di Dolfo: Brut Nature 2014. Buona lettura e buona domenica!
Buona lettura e buona domenica!
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Grazie, un altro articolo che si distingue per la scelta di un argomento da appassionati, trattazione competente e calorosa, documentazione ricca e precisa, scrittura piacevole e di alta qualità! Ho recentemente trascorso cinque anni guidando molto tra Francia e Italia, facendo un sacco di autostrada e vi ho trovato conferma regolare della sensazione che la percentuale di ottimi caffè espresso negli autogrill in Italia sia elevatissima. Se per trovare in città (non sto a specificare che parlo dell’Italia) il bar che fa un buon caffè tocca cercare per bene, memorizzare e tornarci - cosa che giustifica anche un certo investimento in tempo, perché un buon caffè è proprio un grande piacere, un gran rito, un momento significativo della giornata - e se in città le cose, con i passaggi di mano orientali di molti bar storici, non sono certo migliorate, io ho trovato che almeno 8 volte su 10 in autostrada l’espresso sia veramente ottimo. Non credo che basti a spiegare questa faccenda il numero pazzesco di espressi che si servono negli autogrill più frequentati, credo conti soprattutto una scuola, che mantiene la qualità elevata anche a ogni cambio di turno. Arrivando da Lione, appena uscito dal Frejus la prima sosta è in quel bar minuscolo, gestito con pochissima grazia, per niente invitante, che si trova immediatamente all’uscita del tunnel, dove però l’espresso è perfetto, ottimo, in particolare per chi preferisce, come nel mio caso, meno acidità e più rotondità bruna. Una cosa che mi sorprende regolarmente è che pochi italiani mi paiono d’accordo sull’elevata qualità media dell’espresso in autostrada, forse perché ci trascorrono meno tempo di quanto io vi abbia trascorso per cinque anni, per motivi lavorativi? Lei che ne pensa?
Grazie mille per questi interventi domenicali, che leggo sempre integralmente e con grandissimo piacere.