Benvenuti al numero 257 di Orazio Food Experience. Un particolare benvenuto a chi si è iscritto nell’ultima settimana! Da ormai 23 anni The World’s 50 Best Restaurants, la classifica stilata col contributo di oltre mille esperti indipendenti del mondo (1120 per la precisione) della gastronomia, tra chef, giornalisti e gastroturisti, segnala i migliori locali al mondo. La cerimonia finale in cui è stata annunciata la classifica di quest’anno si è svolta giovedì scorso, per la prima volta in Italia, a Torino presso l’auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto. Primo classificato è risultato il ristorante Maido di Lima, dello chef Mitsuharu Tsumura, la cui vittoria era nell’aria, anche se almeno tra gli europei c’era il desiderio che il primo posto fosse assegnato ad Asador Extebarri di Axpe (a una quarantina di chilometri da Bilbao) dello chef Bittor Arginzoniz, risultato secondo, o a DiverXo di Madrid dello chef Dabiz Muñoz, alla fine quarto, che confermano le posizioni dello scorso anno. Al terzo posto Quintonil, di Città del Messico, dello chef Jorge Vallejo (nel #216 la mia recensione dalla visita dello scorso anno). Ma torniamo al vincitore, Maido. Nato da genitori di origine giapponese, Mitsuharu Tsumura detto "Micha" è cresciuto a Lima e si è formato negli Stati Uniti prima e in Giappone poi, prima di tornare a Lima dove ha aperto Maido, un posto su diversi piani, moderno, alla moda, molto frequentato, uno dei punti di riferimento della cucina nikkei (fusione tra tecniche giapponesi e ingredienti peruviani). Maido non è solo amato dal pubblico, ma anche dalla critica. È stato incoronato miglior ristorante dell’America Latina per quattro volte dal 2013 a oggi, e nel 2024 ha ottenuto il titolo di Best Restaurant in South America. Un successo che non si esaurisce nelle sale del locale: Micha Tsumura è stato scelto dai suoi stessi colleghi come Chef dell’Anno ai premi Estrella Damm Chefs’ Choice Award. Si conferma così il posizionamento di questa regione del mondo, e di Lima in particolare, nel gotha della cucina internazionale, dopo la vittoria nel 2023 di Virgilio Martinez di Central. Primo tra gli italiani resta Lido 84 di Gardone Riviera, dello chef Riccardo Camanini, al sedicesimo posto (12 esimo l’anno scorso) (recensione qui). Gli altri italiani nei primi 50 sono nell’ordine il Reale di Castel di Sangro, dello chef Nico Romito, 18esimo (19esimo l’anno scorso), Atelier Moessmer di Brunico dello che Norbert Niederkofler, 20esimo, una new entry (52esimo lo scorso anno), Le Calandre di Rubano dello chef Massimiliano Alajmo, 31esimo, un gradito ritorno nei top 50 dopo l’assenza dello scorso anno (51esimo l’anno scorso), Piazza Duomo di Alba, dello chef Enrico Crippa, 32esimo (39esimo l’anno scorso) e Uliassi di Senigallia, dello chef Mauro Uliassi, 43esimo (50esimo l’anno scorso). Unico ristorante italiano nella classifica dal 51 al 100 Al Gatto Verde, il ristorante aperto da Massimo Bottura a Villa Maria Luigia, a pochi chilometri da Modena, condotto dalla chef Jessica Rosval. Da menzionare un nuovo e altissimo riconoscimento per Massimo Bottura e sua moglie Lara Gilmore, che vincono il Woodford Reserve Icon Award, riconosciuti come “powerhouse duo” per il loro impatto straordinario nel mondo dell’ospitalità mondiale. Tra i premi speciali menziono quello del World’s Best Sommelier che è stato conferito a una persona che conosco bene, Mohamed Benabdallah, del ristorante Asador Etxebarri.
In questa classifica non ci sono punteggi in base alla cucina o alla cantina o al servizio, ma i votanti sono chiamati a elencare, in ordine di preferenza, i loro indirizzi preferiti (con un massimo di dieci). E’ una classifica che per sua natura è particolarmente dinamica, tanto che negli anni ha aperto le porte all’alta cucina di Paesi che fino a pochi decenni fa non erano certo rinomati fra le mete enogastronomiche globali, come la Danimarca, il Perù o la Thailandia. Più che i 50 ristoranti “migliori” al mondo bisognerebbe parlare quindi dei ristoranti più “influenti” e “innovativi”, forse i più “glamour”. Singolare notare che il Perù, o perlomeno la città di Lima che ha ben quattro ristoranti tra i primi 50, non è visitata dalla guida Michelin; che dei sei ristoranti di Bangkok inclusi nella lista, solo uno, Sorn, ha tre stelle Michelin; e anche che dei quattro ristoranti di Parigi inclusi nella lista, Table by Bruno Verjus (ottavo), Plénitude (14esimo), Septime (40esimo) e Arpège (45esimo), solo Plénitude e Arpège hanno il riconoscimento delle tre stelle. Continua il momento dei ristoranti latinoamericani e della cucina asiatica: quattro sono i ristoranti dal Perù che solo due anni fa aveva piazzato il numero uno, non rivotabile quest’anno, e uno rispettivamente da Argentina, Brasile, Colombia e Cile, senza contare i due di Città del Messico. E per l’Asia ben sei dalla Thailandia, quattro dal Giappone, due dalla Cina e uno rispettivamente dalla Corea e da Singapore. Per gli italiani, pur non essendo il risultato del 2016 e 2018, quando l’Osteria Francescana di Massimo Bottura aveva conquistato il primo posto entrando poi di diritto nella Hall of Fame dei ristoranti Best of the Best (non potendo quindi più competere), si mantiene una eccellente presenza, con ben sei ristoranti tra i primi 50 (contro quattro dell’anno scorso) e solo uno nelle posizioni tra 51 e 100 (contro tre dell’anno scorso). Un paio di curiosità: la Thailandia e l’Italia sono i paesi con più ristoranti nella classifica dei primi 50: ben 6 a testa, seguiti da Francia, Spagna, Perù e Giappone con quattro. Quanto alla città in cui si mangia meglio al mondo, ben sei ristoranti sono a Bangkok!, seguita da Lima e Parigi con quattro ristoranti a testa. Seguono Tokyo con tre e Hong Kong, Copenhagen, Dubai, Londra e Città del Messico con due. Singolare il caso dell’Italia. Mentre nel resto del mondo sembra che si mangi al top solo nelle capitali o nelle grandi città, in Italia si deve andare in provincia!
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Questo numero contiene:
La videoricetta: La “genovese” di mare
Il ristorante della settimana: DiverXo, Madrid (Spagna)
Il vino della settimana: Collio goriziano
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La videoricetta: La “genovese” di mare
La genovese di mare è una reinterpretazione di un grande classico della cucina napoletana. Nasce dall’incontro tra una delle più antiche ricette della tradizione partenopea – la genovese, un sugo lento e sontuoso di cipolle e carne (ecco il link alla mia videoricetta) – e il desiderio di alleggerirne la struttura senza perderne l’anima. Al posto del manzo o del vitello, possono essere usati pesci bianchi, crostacei, molluschi o frutti di mare, che donano al piatto una nuova profondità, più fresca e marina, senza rinunciare alla dolcezza avvolgente delle cipolle stufate a lungo. Non esiste una versione unica: ogni chef, ogni casa, ogni trattoria crea la sua. Ma tutte mantengono fede allo spirito originario della genovese: un piatto lento, generoso, che riempie la cucina di profumo e il palato di ricordi. Io ho scelto di farla con il polpo e le cozze e di farne un condimento per la pasta. Così come la classica genovese, anche quella di mare andrà cotta per qualche ora a fuoco lento e con coperchio per permettere alle cipolle di sfaldarsi e diventare quasi cremose. La dolcezza della cipolla accoppiata al sapore del polpo e al sapore di mare delle cozze è una combinazione che funziona alla perfezione. Quanto alla pasta ho scelti gli ziti, ma anche altre paste corte come i paccheri o mezzi rigatoni vanno benissimo. Buona visione!
Il ristorante della settimana: DiverXo, Madrid
Siamo a Madrid, in Calle Padre Damián 23, nel quartiere Tetuán, a due passi dallo stadio Bernabéu. Qui, nel NH Eurobilding, troviamo DiverXo. Fin dall’ingresso, l’ambiente fa capire che non sei in un semplice ristorante, ma in un vero e proprio spettacolo per i sensi. Domina il bianco con tonalità neutre e tocchi inaspettati, come maialini volanti in ceramica e formiche metalliche. Il ristorante è diviso in nicchie da tende bianche, per garantire intimità pur mantenendo una connessione visiva con il resto della sala. I tavoli sono tondi in marmo bianco, con poltrone imbottite invece di seggiole, che, devo riconoscere, sono molto comode. L’ambiente è una sorta di teatro immersivo, dove ogni dettaglio – décor, luci, arredi e servizio – è parte di un racconto audace e sensoriale. Perfino in bagno il design è curato con specchi e decorazioni di fantasia che conferiscono continuità all’esperienza. In attesa che il locale venga trasferito, come era stato annunciato, nella zona residenziale de La Finca, a ovest di Madrid, in uno spazio immerso nel verde, di circa 1.400 mq con due grandi terrazze in cui gli effetti speciali potrebbero perfino essere maggiori, già questo non scherza. DiverXo è l’unico ristorante di Madrid con tre stelle Michelin. Tra l’altro negli ultimi due anni si è piazzato al quarto posto della classifica 50 Best e nel 2021, 2022 e 2023 Dabiz Muñoz, lo chef, è stato considerato il miglior chef del mondo dalla classifica The Best Chef Awards. La cucina di Muñoz può essere definita sperimentale. Le radici sono tradizionali, ma i piatti sono assolutamente unici, realizzati con tecniche orientali, nordeuropee e mediterranee con un obiettivo multisensoriale in cui gusto, vista, tatto e olfatto sono parte dell’esperienza, un mix esplosivo di creatività, tecniche globali, sorpresa sensoriale e rigore nel gusto. Ogni piatto racconta una storia viva, orchestrata con energia da circo e cura da gourmet. È un’esperienza che sfida le aspettative e ridefinisce il concetto di alta cucina contemporanea.
La proposta prevede solo un menu degustazione, “La Cocina de los Cerdos Voladores”, circa 18 portate al costo di 450 €/persona, vino escluso. Bisogna presentarsi in tempo per la prima portata all’ora prevista, che può variare. Il pranzo a cui ho partecipato è iniziato alle 13,15. Le portate uniscono sapori spagnoli, giapponesi, indiani e altro in un percorso teatrale: nigiri invecchiato 45 giorni, curry con caviale, mochi dolci e salati, canguro e gamberi sospesi al soffitto.
Il menu è una montagna russa culinaria, piena di contrasti: acido, croccante, morbido, dolce e salato. Piatto dopo piatto, l’esperienza è “esplosiva”, spesso servita in modo scenografico. Le portate uniscono sapori spagnoli, giapponesi, indiani e altro in un percorso teatrale. Il ritmo del servizio è sostenuto ma fluido: ogni piatto, ricco di storie e riferimenti tecnici, arriva con tempismo perfetto, spesso introdotto con una breve spiegazione, oppure lasciato parlare da sé con una scheda illustrativa, senza appesantire il servizio. Il personale è giovane, rilassato e preparato. Non ci sono atteggiamenti ingessati, ma un tono informale che però non scade mai nella sciatteria. I camerieri non si limitano a servire: entrano in scena, letteralmente. Alcuni piatti prevedono interventi al tavolo, gesti rapidi, movimenti coreografici. La carta dei vini è ampia, ma soprattutto originale. Sono previsti tre livelli di pairing da 300 a 900 euro. E’ previsto anche un pairing analcolico. Dabiz Muñoz appare spesso in sala, a fine pasto o tra i tavoli: saluta, si ferma a parlare, osserva il lavoro del team. La sua presenza è tangibile, anche quando non è visibile, orchestrata con energia da circo e cura da gourmet. È un’esperienza che sfida le aspettative e ridefinisce il concetto di alta cucina contemporanea. La prenotazione non è facile, vista la richiesta da tutto il mondo. E’ uno di quei posti che ogni gourmet, potendoselo permettere, dovrebbe visitare periodicamente. DiverXo
Il vino della settimana: Collio goriziano
Disteso tra i fiumi Isonzo e Judrio, in provincia di Gorizia, il Collio Goriziano è una delle zone vinicole più vocate d’Italia, celebrata nel mondo per i suoi bianchi di rara eleganza. Questa fascia collinare, sospesa tra le Alpi Giulie e il Mare Adriatico, beneficia di un microclima straordinario: l’alternanza di brezze fresche, ottime escursioni termiche e un perfetto equilibrio tra piogge e soleggiamento. Ma il vero protagonista è il suolo, la celebre ponca — una miscela di marne calcaree e arenarie stratificate di origine eocenica — che dona ai vini una spiccata sapidità, struttura e longevità.
Con circa 1300 ettari di vigneto (su un totale di 7000 ettari di territorio collinare ad alta biodiversità), il Collio è una terra di confine che accoglie con pari dignità vitigni autoctoni e internazionali. Se i bianchi – dal Friulano alla Ribolla Gialla, dal Sauvignon al Pinot Grigio – esprimono al meglio il carattere nobile del territorio, anche i rossi, meno numerosi ma di grande personalità, offrono struttura e complessità.
Recentemente Angelo Sabaddin ha partecipato a una degustazione di vini bianchi del Collio Goriziano presso il Consorzio Tutela vini Collio e ne ha ricavato un articolo pubblicato nella sezione vino di Passione Gourmet in cui ci parla del territorio, delle caratteristiche dei vini del Collio Goriziano e dei numerosi vini degustati, di cui sono disponibili le sue note di degustazione. Ecco il link all’articolo: Collio goriziano.
Buona lettura e buona domenica!
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