Benvenuti al numero 70 di Orazio Food Experience. Mi piace il foie gras, lo ammetto. Mi piace sia scaloppato sia in terrina o aggiunto come ingrediente in grado di arricchire tante preparazioni. La maggior parte degli chef ha nel suo repertorio e spesso nel menù la realizzazione di piatti a base di foie gras. Certo che col foie gras c’è sempre il dilemma se sia accettabile consumare un cibo che proviene da un sistema di nutrizione crudele, seppure legato a una lunga tradizione gastronomica, il cosiddetto gavage, che è quello riservato alle anatre o alle oche destinate alla produzione del foie gras. In pratica queste anatre e oche vengono alimentate a forza, più volte al giorno, con lo scopo di far aumentare la dimensione del loro fegato, che diventa fino a 10 volte più grande di uno normale. L’alimentazione forzata ha causato battaglie etiche che hanno portato a rendere illegale in molti paesi, come l’Italia, la sua produzione, mentre in altre parti del mondo come in California o dal 2022 nella città di New York si è arrivati perfino al divieto di venderlo o servirlo nei ristoranti. Eppure sembra che questo dilemma etico potrebbe presto avere una soluzione. Già alla fine del 2019 la stampa internazionale si era occupata di una start up, la Gourmey, i cui laboratori si trovano a Evry, alle porte di Parigi, fondata dal biologo Nicolas Morin-Forest, che puntava a creare un foie gras indistinguibile nell’aspetto e nel gusto da quello tradizionale, ma fabbricato a partire dalle cellule staminali prelevate da un uovo di anatra, messe in vitro e nutrite con proteine, aminoacidi e zuccheri simili ai nutrienti che un’anatra assumerebbe da una dieta a base di avena, mais ed erba. Una volta pronte, le cellule sarebbero trasformate in foie gras attraverso un processo che avrebbe tra l’altro bisogno di molta meno terra e acqua rispetto ai metodi tradizionali. La produzione di carne a partire dalle staminali fa parte dell’interesse mondiale per la carne di laboratorio, che negli ultimi anni ha visto l’impegno di numerose startup che hanno cominciato ad avere i primi confortanti risultati. Rimando a quanto avevo scritto qualche tempo fa (Newsletter #42) a proposito di bistecche e cosce di pollo stampate in 3D in laboratorio. La Gourmey era riuscita a ottenere finanziamenti dall’Unione Europea e perfino dallo Stato francese oltre che da investitori privati. Apparentemente dal 2019 a oggi sono stati fatti notevoli progressi, perché la settimana scorsa la Gourmey ha ricominciato a far parlare di sé, avendo raccolto fondi per 10 milioni di dollari. Va detto che il foie gras è un prodotto particolarmente adatto alla produzione in laboratorio. Infatti uno dei principali problemi nel costruire carne in laboratorio è ricreare fibre e consistenze del prodotto originale, tipo petto di pollo e bistecche. Con la grassa morbidezza del foie gras il problema non si pone. Anche l’ostacolo dei costi elevati, visto che il foie gras è un prodotto di lusso, che va tra 150 e 200 euro al chilo, sembra essere meno impegnativo che per altre carni. Ad oggi apparentemente la Gourmey riesce a produrre foie gras coltivato ad un costo inferiore a 1000 euro al chilo. L’obiettivo è di abbattere i costi al di sotto della soglia di quello naturale. L’ultimo ostacolo sembra essere quello regolatorio. Infatti la carne coltivata in laboratorio non ha ancora l’approvazione dagli enti regolatori dei vari paesi. Però la notizia confortante per il settore è che l’anno scorso la società californiana Just Eat è riuscita ad ottenere l’approvazione dalla città-stato di Singapore per l’uso di pollo di laboratorio per i nuggets. Insomma, sembra manchi poco al traguardo.
Ma se si producesse un foie gras da cellule staminali, simile e indistinguibile da quello naturale e ad un costo paragonabile, voi lo mangereste? Io comincio a farci un pensierino.
Come avevo già annunciato due settimane fa, durante il periodo estivo mi prendo alcune pause, infatti la settimana scorsa la newsletter non è uscita. La prossima newsletter uscirà tra due settimane, l’8 agosto. Dal 29 agosto riprenderò con una cadenza settimanale.
Oggi la mia videoricetta è dedicata a un piatto estivo per antonomasia, l’insalata di riso. Inoltre propongo una gustosa parmigiana di zucchine che ho trovato sul sito del Cucchiaio d’Argento.
Questo numero contiene:
La videoricetta: Insalata di riso
La ricetta della settimana: Parmigiana di zucchine
Il ristorante della settimana: Un posto a Milano
Il vino della settimana: Château Le Pin 1998
Se vi viene voglia di acquistare qualcuno degli attrezzi di cucina che uso nelle videoricette, trovate i link ad Amazon nella descrizione dei video sulla pagina YouTube (cliccate “Mostra altro”, perché la lista sta in fondo).
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La videoricetta: Insalata di riso
Non guardatela come la noiosa alternativa al panino, la pasta scotta o la verdura un po’ molliccia del pranzo al bar sotto l’ufficio. L’insalata di riso può essere un grande piatto: la chiave è mantenere il riso croccante senza consentire che si ammosci. Nella videoricetta mostro alcuni accorgimenti che dovrebbero aiutare nell’impresa. A cominciare dall’uso del riso integrale, per continuare con la modalità di cottura e di raffreddamento. E’ un piatto comodo soprattutto in estate, grazie alla possibilità di conservarlo in frigorifero. Provatelo. Buona visione!
La ricetta della settimana: Parmigiana di zucchine
Ottima alternativa a quella di melanzane, la parmigiana di zucchine è una gustosa ricetta vegetariana alleggerita dalla cottura delle zucchine in forno. Gli ingredienti sono semplici: zucchine al forno, sugo di pomodoro, parmigiano e una delicata crema di ricotta. Un piccolo trionfo di sapori mediterranei. che ho trovato sul sito del Cucchiaio d’Argento. Parmigiana di zucchine
Il ristorante della settimana: Un posto a Milano
Siamo a Milano, in Via Privata Cuccagna, a cui si accede da via Muratori, in zona Porta Romana, a due passi da viale Umbria, all’interno della Cascina Cuccagna. Sì, proprio una cascina, come dice il nome, rimasta pressoché intatta, nel cuore di Mlano. Recentemente ristrutturata – i lavori di recupero, firmati da Marco Dezzi Bardeschi, sono terminati nel 2012 – ha mantenuto gli spazi di un'antica cascina che sono stati adeguati a una nuova destinazione pur mantenendo intatta la sua identità architettonica settecentesca. Oltre all’attività di ristoro che include cucina, bar e foresteria, la cascina include un negozio di fiori, un’agenzia di viaggi nella natura e una scuola di cucina creativa. Come detto al suo interno c’è un vero e proprio ristorante, Un posto a Milano, nato nel 2012 dall’idea di un volto noto nel mondo della ristorazione di qualità: Nicola Cavallaro, classe 1972, che avevamo visto all’opera all’Ape Piera, ristorante poi rilevato dallo stesso chef e rinominato Nicola Cavallaro al San Cristoforo. Quello che Nicola oggi propone a Un posto a Milano è una cucina veramente per tutti, popolare nell’accezione più nobile del termine, fatta per ragazzi e adulti, gourmet e non, single, gruppi di amici, coppie e famiglie, una cucina 100% italiana, che adotta il principio del “chilometro vero”, cioè si acquistano le materie prime in giro per l’Italia là dove sono prodotte (a filiera corta come dicono gli esperti), rispettosa delle stagioni e con eccellente rapporto qualità/prezzo. Nella bella stagione si può stare all’aperto, tra orti e verde. E poi si mangia benissimo, tutto l’anno. Consigliato!
Il ristorante, come ci racconta Antonio Sgobba in una recensione scritta per Passione Gourmet, “è stato creato con l’intento di “svecchiare” il concetto tradizionale di trattoria. Come a volte succede per i cosiddetti first movers, la formula è piaciuta molto al mercato, così in tanti hanno cercato di replicarla e, oggi, mantenere il primato diventa sempre più difficile. Lo chef propone una cucina adatta proprio a tutti, con una specifica sezione del menù creata per i più piccoli.” (Un posto a Milano, di Antonio Sgobba).
Il vino della settimana: Château Le Pin 1998
Mai sentito parlare dei vin de garage? Per i detrattori si tratta di quei vini elaborati in cantina per supplire alla scarsa qualità in vigna o semplicemente chiamati così perché la loro produzione annuale è così limitata che può essere contenuta nell’angusto spazio di un garage. Forse il capostipite della categoria è Château Le Pin, un mitico vino rosso a base di Merlot prodotto a Bordeaux, nella zona di Pomerol. Un vino che è tra i più costosi al mondo, che riceve con continuità ottime valutazioni dai critici, che è prodotto in quantità estremamente ridotte e che è una presenza costante nelle principali aste di vini. Ho avuto la fortuna di assaggiare qualche anno fa l’annata 1990, generosamente offerta da un amico, e posso confermare la grandezza del vino. Alberto Cauzzi ha pubblicato un articolo nella sezione Dream Wines di Passione Gourmet in cui ci racconta la singolare storia dello château, nonché le sensazioni ricevute nell’assaggiare l’annata 1998 di questo grande vino. Château Le Pin 1998
Buona Domenica!